Non ci sono prove irrefragabili per le quali si possa sicuramente affermare che Bossetti sia colpevole.
Anche la Cassazione, smentendo suoi precedenti, ritiene, con questa irragionevole sentenza, che un imputato sia colpevole in base ad una ricostruzione peritale, non perché la motivazione sia sorretta da prove documentali o testimoniali.
Le ricostruzioni peritali sono opinabili e, quantunque fossero irreprensibili, devono sempre ottenere un riscontro oggettivo, che si consegue con la comparazione con un altro elaborato, perché di quest’ultimo se ne superino le obiezioni e gli interrogativi che può porre legittimamente.
Nel caso del processo Bossetti, la Cassazione non ha rimesso in istruttoria il giudizio, per consentire alla difesa di ottenere un’altra perizia e dunque giungere alla certezza che la ricostruzione delineata dall’accusa fosse intangibile.
Solo per questa ragione non si può condividere il verdetto della Corte Suprema.
La prova che incastra Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di Mapello, è quella del Dna.
Il tessuto rinvenuto sui leggins di Yara Gambiraso, la tredicenne trovata morta il 26 febbario del 2011, è “compatibile” con quello dei sedili del furgone di Bossetti, ma non è con certezza lo stesso.
È “compatibile” con quello di Bossetti anche il veicolo, ripreso dalle telecamere, che la sera della sparizione della giovane atleta era passato e ripassato vicino alla sua palestra.
Ma niente conferisce la certezza che fosse proprio il suo.
Manca inoltre un movente forte, manca l’arma con cui la povera Yara fu colpita più volte.
Mancano tante cose.
Ma c’è quella traccia di Dna trovata sugli slip e sui leggins sui cui si è giocato, fin dall’inizio, lo scontro tra accusa e difesa.
Secondo il Procuratore Generale Mariella De Masellis, che ha ottenuto l’ergastolo, sarebbe «fantascienza che il Ris abbia creato un Dna artificiale servendosi di marcatori scaduti». Dall’altra c’è la difesa che, a nome di Bossetti, ha reclamato a gran voce, di poter ripetere l’esame.
La prova infatti si forma in dibattimento, ma nel caso di Bossetti così non è stato.
Vittorio Feltri con un coraggioso editoriale apparso oggi sulle colonne di “Libero”( Giustizia fa rima con immondizia) ha difeso Bossetti ed ha posto tre elementari interrogativi.
1- Perché la difesa non ha ottenuto la possibilità di poter provare il contrario, che la ricostruzione operata dai Ris fosse sbagliata?
2- Perché ritenere che in quel furgone ci fosse Bossetti e non un altro?
3- Quale è il movente di Bossetti per questo atroce omicidio?
Sono quesiti che sorreggono la logica, il buonsenso e che dovrebbero costituire l’intelaiatura di una motivazione razionale, come si dice nel linguaggio forense, oltre ogni ragionevole dubbio.
Ma se anche la Cassazione “gioca” con la vita degli innocenti, perché è necessario seguire un giustizialismo mediatico ed avere ad ogni costo un capro espiatorio, vuol dire che aveva ragione Manzoni che nella “Storia della Colonna Infame” disse saggiamente: “quei magistrati seguirono la furia della moltitudine, non la Ragione”.
Così è stato anche per il povero Bossetti.
Pubblicato su “Gli Stati Generali”