DECRETO INGIUNTIVO FAI DA TE: SE SI ASCOLTASSERO LE AUDIZIONI
Con il disegno di legge n.755 presentato al Senato della Repubblica ad iniziativa dei senatori Ostellari, Romeo, Pillon, Emanuele Pellegrini e Candura in data 7.08.2018, si intende proporre una nuova procedura che consenta, senza l’intervento del Giudice, di rendere un provvedimento giurisdizionale: il decreto ingiuntivo.
In altre parole l’avvocato motu proprio compone il decreto ingiuntivo: del giudice in questa fase non ce n’è bisogno.
Il meccanismo si struttura,per quanto prevede l’art. 656 bis cpc nuovo conio, in questo modo.
L’avvocato,munito di mandato professionale su richiesta del suo assistito che sia creditore di una somma liquida di danaro,emette un atto di ingiunzione intimando al debitore di onorare la sua pendenza entro 20 giorni( ora si dice che il termine sia stato prorogato a 40, come è previsto nell’attuale disciplina).Tuttavia lo stesso debitore può anche proporre,nello spazio del medesimo termine-20 o 40-, un atto di opposizione.
Nel caso in cui il debitore ingiunto non si opponga, si forma un titolo esecutivo, grazie al quale si può procedere ad espropriazione forzata.
La norma,scritta male e senza tenere conto dei necessari coordinamenti con altre disposizioni di legge, prevede che l’avvocato possa rendere il decreto ingiuntivo, se del credito si conferisca prova scritta : il provvedimento monitorio è reso per crediti derivanti da prestazioni professionali di avvocati, notai, cancellieri, ufficiali giudiziari o di chiunque abbia reso una prestazione per la quale è contemplata una tariffa legalmente approvata, per esempio architetti, ingegneri.
Va da se’ che di tale strumento ci si può avvalere anche se il credito sia costituito da fatture commerciali o da estratti conto,sulla scia che la pretesa sia fondata su prova scritta.
Non si possono infatti escludere queste altre prove scritte, altrimenti quelle indicate nella disposizione dell’art. 656 bis avrebbero contenuto esclusivo,limitazione che la norma avrebbe dovuto statuire espressamente.
Dunque attraverso questo strumento- decreto ingiuntivo reso dall’avvocato- un imprenditore che sia titolare di un credito portato da una fattura commerciale, può rivolgersi al proprio avvocato che potrà ,senza l’intervento del Giudice, rendere il provvedimento monitorio.
Allo stesso modo una banca-come è già previsto dall’art.50 del testo unico bancario- può, in ragione di estratti conto, il cui contenuto è reso di fede privilegiata dalla dichiarazione contenuta in calce ai medesimi da un funzionario dell’istituto di credito,ottenere da un suo avvocato che al debitore sia notificato il detto decreto ingiuntivo.
Un’ulteriore norma-656 ter cpc- prevede che l’avvocato che renda il decreto verifichi con puntualità che effettivamente ne sussistano i requisiti, pena una sua responsabilità anche disciplinare innanzi all’ordine di appartenenza, oltre al risarcimento dei danni ed il rimborso delle spese sostenute dal debitore erroneamente ingiunto.
L’atto di opposizione si propone- lo statuisce l’art.656 quater-davanti all’ufficio giudiziario competente per valore, con un ricorso notificato all’avvocato che ha emesso l’ingiunzione di pagamento.
Il giudice istruttore, qualora l’opposizione non sia fondata su prova scritta e di pronta soluzione, rende un provvedimento di rigetto alla prima udienza, senza svolgimento di alcuna istruttoria, concedendo con un’ordinanza non impugnabile l’esecuzione provvisoria all’ingiunzione. Deve anche motivare la mancata condanna alla lite temeraria, se la detta opposizione fosse meramente dilatoria.
Sono state sollevate in sede di audizione numerose perplessità che, se prese in debita considerazione, fanno ritenere che siamo al cospetto di una strumentazione normativa che sconvolge e conculca il diritto di difesa e pone seri rischi al servigio di terzietà  che la Carta Costituzionale contempla all’art. 111.
L’associazione nazionale magistrati,debitamente sentita in sede di audizione,ha manifestato robuste incertezze e seri dubbi: i redattori del disegno di legge non ne hanno tenuto conto, perchè ascoltandoli l’iniziativa legislativa promossa potrebbe essere ritirata.
Infatti in data 14.03.2019, sentite per conto della detta associazione, i magistrati Bianca Ferramosca e Paola D’Ovidio hanno espresso la necessità  di un contemperamento tra gli interessi in gioco: quello del creditore di ottenere con rapidità il titolo esecutivo e quello del debitore di non essere schiacciato nell’esercizio del suo diritto di difesa.
E’ fondamentale infatti mantenere “il delicato punto di equilibrio che il nostro ordinamento garantisce tra le opposte esigenze di pervenire in tempi rapidi alla formazione del titolo esecutivo idoneo al recupero forzoso dei crediti a mezzo espropriazione e di salvaguardare i valori costituzionali del giusto processo, che si realizzano attraverso i presidi imprescindibili del contraddittorio tra le parti, in condizione di parità , davanti a giudice terzo e imparziale…Intervenire, come il ddl in commento, sulla fase sommaria – sottraendo l’attività di valutazione probatoria all’organo giurisdizionale terzo ed imparziale per assegnarla al legale del creditore – e sulla fase di cognizione – “sommarizzandone” l’istruttoria ( “…se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione, la rigetta con decreto motivato in prima udienza senza istruttoria, concedendo, con ordinanza non impugnabile, l’esecuzione provvisoria dell’atto di ingiunzione”) –comporterebbe sicura violazione dei principi costituzionali, a presidio del giusto processo civile, oltreché il sensibile aumento della conflittualità , l’incremento del contenzioso e, con esso, dei relativi costi, in aperto contrasto con gli obiettivi dichiarati della riforma.
L’esame della documentazione a fondamento di un ricorso per decreto ingiuntivo, infatti, non è “attività burocratica dell’amministrazione della giustizia”, “mera verifica cartolare ( quasi di tipo notarile)”,ma rappresenta esercizio dell’attività , tipicamente giurisdizionale, di valutazione della prova della esistenza di un diritto e della sua esigibilità che, per la tutela dei cittadini tutti ( giacché capita a tutti di essere creditori ed, al contempo, debitori), deve rimanere assegnata al giudice terzo ed imparziale come richiesto dall’art. 111 della Costituzione, trovando la sua massima funzione di garanzia nella prospettiva dei soggetti che, per condizioni personali ( di età , di reddito, di salute) o per organizzazione interna ( e tra questi prime fra tutte le Pubbliche Amministrazioni) subiscono più degli altri gli effetti negativi della sommarietà della prima fase,accedendo con maggiore difficoltà allo strumento dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Al pari, lo “strappo” al principio del contraddittorio, rappresentato dall’emissione del decreto ingiuntivo inaudita altera parte, trova il suo necessario contraltare costituzionale nella possibilità della cognizione della fase dell’opposizione, alla quale deve, quindi, garantirsi la “pienezza” propria dei giudizi ordinari, non tollerandosi deroga alcuna, a maggior ragione per il caso di complessità dell’istruzione che si renda necessaria al fine di tutelare il giusto diritto del cittadino”.
Dello stesso avviso sono le considerazioni del prof. De Santis, al quale è stato richiesto un parere pervenuto il 14.03.2019. Egli ha candidamente affermato che “chi scrive non ha rinvenuto, né nelle fonti del diritto romano, né in quelle di diritto comune, riferimenti, che possano costituire un precedente, in cui l’ingiunzione viene pronunciata da un avvocato…Anche dando uno sguardo agli ordinamenti europei, pur nella varietà dei sistemi, non si sono rintracciate ipotesi di atti di ingiunzione emessi da avvocati, senza, cioè, l’intermediazione di un ufficio giudiziario pubblico o di un ufficio pubblico notarile”.
L’illustre giurista tra l’altro segnala che “il trapianto della tecnica della cognizione sommaria a contraddittorio differito nel contesto di uno strumento che sembra appartenere alla galassia degli Altervative Dispute Resolution suscita, sul piano sistematico, alcune perplessità .
Quando, infatti, si ravvisa la scelta del legislatore di favorire la formazione del titolo e quindi di accelerare il percorso verso la tutela di condanna in caso di inerzia del convenuto, si riscontra, in primo luogo, una costante che è rappresentata dall’intermediazione del giudice (art. 633 ss., 657 ss. c.p.c. etc.)”.
Per il prof. De Santis, anche nel caso in cui si voglia dare per riconosciuto il diritto del creditore in ragione della non contestazione delle sue pretese, comunque ci si imbatte in profili di lesione del diritto di difesa. Nel detto parere il De Santis ha tra l’altro affermato:”si segnala un rischio di illegittimità costituzionale dello strumento in esame, alla luce di quanto sancito da Corte cost. 12 ottobre 2007, n. 340 (in Foro italiano, 2008, I, col. 721 ss.), secondo cui un meccanismo processuale (quello dell’ormai abrogato art. 13 d. lgs. 5/2003) che consentiva al giudice di accogliere la domanda dell’attore sulla base dei fatti affermati in caso in cui il convenuto non si fosse costituito o lo avesse fatto tardivamente e che rappresentava un esempio di c.d. ficta confessio, è stato dichiarato illegittimo.
Significativo è il passaggio della motivazione della Consulta, in cui si legge che «la disposizione censurata — stabilendo che, se il convenuto non notifica la comparsa di risposta o lo fa tardivamente, i fatti affermati dall’attore si reputano non contestati —detta una regola del processo contumaciale in contrasto con la tradizione del diritto processuale italiano, nel quale alla mancata o tardiva costituzione mai è stato attribuito il valore di confessione implicita”.
Ma censure serie il rinomato giurista le pone su queste questioni.
 Vi è il mancato coordinamento con la disciplina delle condizioni di procedibilità in tema di mediazione che la norma non prevede: “Si segnala il mancato coordinamento con la disciplina della mediazione c.d. obbligatoria, di cui all’art. 5 d.lgs. 28/2010 e con la disciplina della negoziazione assistita obbligatoria di cui al d.l. n. 132/2014”.
 In secondo luogo la norma è lacunosa anche sulla questione della risarcibilità al danno dell’avvocato, che ha erroneamente reso il decreto ingiuntivo. Non si rimborsano i danni,ma occorre provare il sotteso nesso causale; il che per il debitore ingiunto è un serio carico probatorio:”La nomenclatura appare alquanto approssimativa, giacché, da un punto di vista tecnico, non si «rimborsano i danni», ma, semmai, si è tenuti al risarcimento del danno, secondo le regole della responsabilità civile. Questa presuppone, quali fatti costitutivi del diritto un evento dannoso, la sua ingiustizia, la responsabilità dell’agente, il nesso di causalità e un danno risarcibile”.
 In terzo luogo la norma è deficitaria quanto alla questione della competenza territoriale del giudice che deve essere investito della relativa opposizione al decreto ingiuntivo. Il disegno di legge in proposito disorienta. “Inoltre, la mancanza del riferimento alla competenza territoriale appare inspiegabile e foriero di gravi incertezze”.
 In quarto luogo è inusuale che l’opposizione si notifichi mediante ricorso. La disposizione prevede che l’opposizione si proponga con «ricorso notificato» all’avvocato che ha emesso l’ingiunzione di pagamento.Se la ratio, come si evince dalla relazione di accompagnamento, è quella di evitare l’abuso dell’allungamento dei termini a comparire, prevedendo che l’opposizione si proponga con ricorso, appare inspiegabile la scelta di prevedere che il ricorso si notifichi.Come è noto, salve alcune eccezioni, come il giudizio di cassazione, nel nostro ordinamento la domanda giudiziale (o l’atto di impugnazione), nei casi in cui debba (art. 414 c.p.c.) o possa (art. 702 bis c.p.c.) essere formulata con ricorso, si ritiene proposta con il suo deposito presso la cancelleria del giudice ritenuto competente, che successivamente emette un decreto di fissazione d’udienza, notificato alla controparte unitamente al ricorso.
Il richiamo all’art. 645 c.p.c., in combinato disposto con la previsione che l’opposizione si propone con «ricorso notificato», appare fuorviante e foriero di gravi questioni interpretative”.
Ma il punto nevralgico, che comprime la difesa del debitore ingiunto, si rinviene proprio nel fatto che il Giudice che è investito dell’atto di opposizione “senza istruttoria può dichiarare che l’opposizione non sia fondata.”
“Si tratta di una soluzione che non può condividersi e che appare in aperta violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio (di rilievo costituzionale)…Chiudere il processo con il rigetto dell’opposizione soltanto perché questa non appare fondata su prova scritta o di pronta soluzione,contravverrebbe alle più elementari regole costituzionali che governano il processo civile”.
6- Allo stesso modo seri problemi configura la condanna alla lite temeraria da comminare all’ingiunto che abbia proposto l’opposizione , come se di per sè l’opposizione fosse già in re ipsa infondata e dunque si indica la sanzione con l’effetto dissuasivo. Ma non si irroga, di converso, la pena pecuniaria ex art. 96 cpc all’avvocato che abbia reso un decreto ingiuntivo infondato.
Tra l’altro il disegno di legge autorizza il creditore ad ottenere previa istanza al Presidente del Tribunale o di un giudice da lui delegato tutte le informazioni contenute nell’anagrafe tributaria e nelle banche, al fine di conoscere su quali beni o crediti possa essere esercitata l’azione esecutiva.
Questa ricerca, come ha scritto il giurista De Santis, avviene preventivamente al decreto in violazione della legge sulla privacy e senza contraddittorio.
Molte perplessità sono state sollevate sempre in sede di audizione dal Presidente dell’associazione degli ufficiali giudiziari di Europa, Arcangelo D’Aurora, che ha ben posto in evidenza il fatto che “non è da trascurare la questione della ” riservatezza dei dati e terzietà ”, tenendo conto che c’è una grossa differenza tra le indagini effettuati da circa tremila funzionari dello Stato e 300.000 liberi professionisti.
Per questo motivo che la nostra associazione ritiene che sia prerogativa del potere statale l’indagine sulla consistenza patrimoniale del debitore, al fine di contemperare gli interessi del creditore con i diritti del debitore e dunque esprimiamo un giudizio negativo sulla possibilità di devolvere tale attribuzione ai legali delle parti”.
Per tutte queste ragioni i redattori della norma dovrebbero abbassare i toni e non trionfalisticamente dare per scontato che la soluzione prospettata sia da condividere ed assentire supinamente, a dispetto ed a discapito di valori costituzionali che comunque vanno contemplati.Essi li hanno disattesi marchianamente.
Diano ascolto alle audizioni. Eviteranno uno scempio legislativo.
Biagio Riccio
Articolo pubblicato su “Gli Stati Generali” il 6 aprile 2019