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PER UNA SOSPENSIONE DELLE PROCEDURE FALLIMENTARI

PER UNA SOSPENSIONE DELLE PROCEDURE FALLIMENTARI

Sulla base dei dati che emergono inconfutabilmente dai più autorevoli centri di rilievo statistico (Svimez, Nomisma) e per le opinioni espresse dalla stampa più accreditata – dal “Sole 24 Ore”al  “Manifesto “- la ripresa economica non sarà possibile, ed è irreversibile una caduta verticale del prodotto interno lordo.
È evidente che:
1- le banche non hanno concesso facilmente credito alle imprese e hanno fatto valere le ferree regole del merito creditizio;
2- per quelle imprese che hanno ottenuto una linea di affidamento gli stessi istituti di credito ne hanno imposto l’utilizzo per il ripianamento delle esposizioni pregresse;
3- di fatto questo danaro non è arrivato all’economia reale.
4- molte imprese hanno chiuso l’attività e molte altre si apprestano a farlo.
5- dunque, il panorama che si prospetta è plumbeo.
Infatti – e siamo al cuore del problema- ripresa l’attività giudiziaria, fioccheranno istanze di fallimento e quelle imprese, che hanno abbassato le saracinesche, sconteranno anche l’onta del fallimento.
È ben noto che nella giurisprudenza fallimentare vale il principio di liquidità secondo il quale, se non si adempie con danaro liquido il debito in forza del quale è stata proposta la relativa istanza, il fallimento è dichiarato.
La sentenza di fallimento è una iattura: tutti i creditori si insinueranno e le fideiussioni concesse saranno escusse: l’imprenditore fallirà e perderà tutto, anche i beni personali, perché le banche aggrediranno le garanzie prestate.
Si pone, dunque, un problema di ordine pubblico economico: bisogna bloccare almeno per un anno le procedure fallimentari.
Questa proposta si deve estendere anche alle altre procedure concorsuali, concordati preventivi e sovraindebitamento.
Pertanto, per le omologazioni ottenute le obbligazioni di pagamento devono essere sospese e le proposte di risanamento (ristrutturazioni di debito) devono anch’esse beneficiare di una congrua proroga.
È indispensabile che il Ministero di Grazia e Giustizia si faccia latore di questa fondamentale proposta, che diventa una necessità ineludibile.
Essa trova fondamento nella legge e nella Costituzione.
Se è impossibile adempiere, cessa il vincolo obbligatorio, così come stabiliscono gli articoli 1218 e 1256 del codice civile.
L’epidemia non è dovuta a colpa dell’uomo: a questo punto, vale il principio secondo cui, per effetto di un’impossibilità (non per colpa dell’imprenditore, la fabbrica è stata chiusa, il ristorante  è inoperativo, per esempio) l’obbligazione di pagamento non è dovuta, almeno per tutto il tempo, affinché non si ristabilisca la normalità delle relazioni sociali, che ragionevolmente può essere indicato in un anno.
La stessa Costituzione fa derivare una nozione di ordine pubblico economico desumibile dall’art. 41 secondo comma, che pone il criterio dell’utilità sociale.
È d’uopo che, affinché si ristabilisca una situazione di normalità – e tale non è quella attuale, in quanto la pandemia è sempre in agguato- lo Stato, a difesa dell’economia reale, imponga con legge che il creditore non possa proporre istanze di fallimento almeno per un anno.
Se tale proposta dovesse cadere nel vuoto, apprestiamoci a vedere spettacoli inauditi di cannibalismo e macelleria giudiziaria.

Biagio Riccio

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