Gli effetti della crisi si riannodano all’esibizione di Salvini al Papeete: con il suo contraddittorio ed inspiegabile comportamento ha determinato uno stallo nel rapporto tra le forze politiche, come se fossimo tornati al marzo 2018. Oggi non vi è infatti la possibilità di un’alleanza tra i partiti; non vi un bipolarismo, è saltato il contratto gialloverde ed abbiamo quattro forze che si contendono il campo come allora: Cinque Stelle, PD, Lega, Forza Italia.Tutto è come prima, come se non fosse trascorso un anno di governo.
Dunque le danze del Salvini insieme all’inebriante mojito hanno conferito questo risultato: non c’è una maggioranza nel seno del Parlamento, tutti sono contro tutti, bellum omnium contra omnes.
La situazione, anche in ragione delle sue dichiarazioni a Massa Carrara nel comizio di ieri sera in uno alle indiscrezioni che filtrano dal vertice del Movimento Cinque Stelle tenutosi domenica nella villa di Beppe Grillo, si snoda in questi tronconi.
1- Salvini non è più attendibile e non è un sereno e leale alleato per i Cinque Stelle. Le danze al Papeete gli hanno fatto perdere la trebisonda ed è partita una crisi di governo senza alcuna seria giustificazione.
Pur pentito, non può considerarsi un affidabile partner, se subordina l’agire politico ai sondaggi ed ai like di Facebook. Lo ha anche ricordato Sabino Cassese sulle colonne del “Corriere della Sera” di domenica 18 agosto: devono sapere i nostri governanti che gli esecutivi durano cinque anni e non possono essere sciolti, solo per effetto di un sondaggio positivo. A Salvini dopo il ballo al Papeete quest’elementare principio è sfuggito.
2- Di Maio ha respinto l’offerta di diventare Presidente del Consiglio che golosamente gli ha proposto Salvini. Come Laocoonte che lo diceva dei greci – quando donarono il famoso cavallo di legno – bisogna diffidare di Salvini quando offre doni: “timeo Salvinum et dona ferentes” (in forma arcaica “ferentis”). Questo significa che il contratto non può ripristinarsi tra le medesime parti, Lega e Cinque Stelle, qualunque sia il suo contenuto. È venuto meno il collante, la fiducia si è irrimediabilmente compromessa.
3- Il pregio da riconoscere a Salvini è stato quello di tirare dalla palude il Partito Democratico, perché non sono più isolati e possono concorrere a formare un governo istituzionale con i grillini.
Sono venuti meno gli effetti della “strategia del pop corn”(aspettare mangiando pop corn che i grillini sbagliassero, governando) e dunque, finito l’Aventino, il Partito Democratico può entrare nell’agone politico ed attraverso il “lodo Bettini” stringere un’alleanza di legislatura con il Movimento Cinque Stelle. È il disegno di un Renzi redivivo, che, ricordiamolo, controlla il gruppo parlamentare del Partito democratico e non vuole le elezioni né lui, né i suoi accoliti. Lo sostiene anche Travaglio dalle colonne del Fatto Quotidiano.
4- Ma la base del Movimento Cinque Stelle non intende allearsi con il Partito Democratico: sono troppo diversi e nessuno vuole regalare a Salvini l’opposizione; alle prossime elezioni avrebbe un consenso plebiscitario.
5- Non si possono neppure profilare, come sostiene Prodi, nuovi patti del Nazareno; è “la coalizione Orsola”, come caldeggiato sulle colonne del “Messaggero” di domenica: cercare di chiudere un governo di legislatura , come avvenuto in Germania con una partecipazione istituzionale delle due più importanti forze politiche in onore di Orsola, versione italiana del nome del nuovo presidente europeo. Ma Prodi sa che questo tentativo non è gradito né al PD, né ai Cinque Stelle. È una tesi sostenuta anche dal “Foglio “di Giuliano Ferrara che vorrebbe l’allargamento a Forza Italia, “contro il Truce”.
Siamo dunque ad un’impasse: il mojito del Papeete, ingurgitato da Salvini, ha prodotto una situazione simile al gioco dell’oca. Siamo tornati a marzo 2018: alla casella iniziale; ma forse andiamo dritti alle elezioni. Ma Salvini non è forte come prima. In questo strano agosto per la politica ha dilapidato un patrimonio: per colpa del mojito del Papeete. E si è pentito. Non ci resta che un’invenzione di Conte o di Mattarella, altrimenti elezioni.
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