Abbiamo scritto un saggio sulla centrale rischi.
Ne delinea la struttura, criticità, asimmetrie.
È una gogna mediatica, causa efficiente di fallimenti, sovraindebitamenti
Rappresenta, l’annotazione in centrale rischi, la morte dell’impresa.
Bisogna impedire alle banche di seminare miseria.
Ecco allora un disegno di legge: punire quelle banche che effettuano un’annotazione in centrale rischi sbagliata. Condannare al triplo dell’importo per il quale la segnalazione sia avvenuta. Ci penseranno bene prima di segnalare.
L’effetto dirimente della sanzione impedirà ingiustizie ed angherie e consente di sperare ad una banca a misura di Costituzione.
Della segnalazione alla Centrale Rischi (da denominarsi anche C.R.) se ne è fatto un abuso. Lo ha riferito, in una famosa intervista del 04/03/2016 al Corriere della Sera, anche il Procuratore Capo della Procura di Milano Francesco Greco.
Essa è diventata ritorsiva ed estorsiva da parte delle banche, che la utilizzano spesso come strumento di ricatto nei confronti degli imprenditori per sollecitare prepotentemente un rientro, qualora vi sia un’esposizione di sconfino non più tollerabile.
Accade, infatti, che, senza alcun approccio istruttorio, senza dunque sentire l’imprenditore, le sue ragioni, la Banca pretenda che il medesimo rientri di una sua eventuale esposizione, considerata la quale, ex post, ci si accorge che essa non sia stata curata secondo legge. Si rinverranno interessi usurari, per esempio, e competenze, nel conto corrente, non dovute.
Il coartare la volontà dell’imprenditore, minacciando una segnalazione a suo danno, influisce pesantemente sulla scelta di quest’ultimo di ripianare, liberamente e consapevolmente, una pendenza con la Banca: potrebbe l’imprenditore, invero, porre in discussione che il debito non sia dovuto nella somma che l’istituto di credito richieda, perché intriso di anatocismo o di interessi usurari.
L’imprenditore, dunque, subisce supinamente il diktat della Banca: si dovrà rientrare dell’esposizione con l’istituto di credito, secondo modalità ormai di prassi, altrimenti si provoca una segnalazione. Le soluzioni del ripianamento (che la banca impone) dell’esposizione pregressa sono:
In mancanza avverrà la segnalazione e, dunque, l’inizio della devastazione dell’impresa: altre banche, riscontrandola nella Centrale Rischi, troncheranno le linee di credito concesse, l’imprenditore subirà la grave crisi di liquidità, dovrà solo portare i libri in Tribunale per la declaratoria fallimentare.
Un recente aggiornamento del giugno 2016 ha previsto che le banche che danno vita ad una segnalazione erronea, su iniziativa della Banca di Italia, che deve effettuarne l’ordine mediante PEC o fax, devono, entro i tre giorni lavorativi successivi a quello dell’invio della comunicazione, rettificare o riclassificare la posizione oggetto di accertamento, così come cristallizzata nel provvedimento giurisdizionale. In mancanza, Banca d’Italia procede all’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 144 TUB.
Nell’aggiornamento è specificato che una posizione di rischio non va più segnalata quando:
Sgombriamo il campo da un equivoco: da un punto di vista storico la Centrale Rischi non nasce, come spesso si ritiene, con il testo unico bancario del 1993. Infatti, sorge già con il testo unico del 1936, che all’articolo 32 recitava: “le aziende di credito, soggette alle disposizioni della presente legge, dovranno attenersi alle istruzioni che l’ispettorato comunicherà, conformemente alle deliberazioni del comitato dei ministri, relativamente alle cautele per evitare gli aggravamenti di rischio derivanti dal cumulo dei fidi”.
È nell’espressione “cautele per evitare gli aggravamenti di rischi derivanti dal cumulo dei fidi” che si vede quale sia la funzione e la finalità della Centrale Rischi.
Era quella, già intesa nel pensiero del legislatore del 1936, di concedere affidamenti solo ad imprenditori solvibili.
Era perciò necessario predisporre delle cautele e dei mezzi per scongiurare l’aggravamento del rischio, derivante dal cumulo dei fidi, dal fatto che un imprenditore, avendo più linee di credito, potesse trovarsi nelle condizioni di non restituire il dovuto alle banche.
L’istituto della Centrale dei rischi è stato introdotto, nella maniera più esaustiva, nel nostro ordinamento giuridico con delibera del CICR del 16 maggio 1962, nella quale si era stabilito che il servizio di centralizzazione dei rischi era affidato alla Banca d’Italia.
La disciplina della centrale rischi è stata successivamente regolamentata dalla delibera del CICR del 29 marzo 1994. Quest’ultima segue l’emanazione del Testo unico Bancario che, come ben noto, si è avuta nel 1993, con l’abrogazione di quello in vigore già dal 1936.
Il presupposto normativo, tuttavia, del servizio della Centrale Rischi, come è stato autorevolmente scritto, è stato da sempre identificato nell’art. 32 della vecchia legge bancaria del 1936. La norma imponeva alle aziende di credito di attenersi alle Istruzioni che l’Ispettorato (rectius la Banca di Italia) avrebbe comunicato, conformemente alle disposizioni del Comitato dei ministri (successivamente il CICR), circa le cautele da assumere per evitare gli aggravamenti di rischi derivanti dai cumuli dei fidi
Tuttavia, andando a ritroso nel tempo, una fondamentale tappa verso la centralizzazione dei rischi (anche se una definizione di sofferenze era ben lungi dall’esistere) è l’emanazione del Regio Decreto del 1 giugno 1897 n. 172, recante norme per lo scambio delle “notizie sui fidi” fra i tre residui istituti di emissione (Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia), ovverosia informazioni sulle principali esposizioni cambiarie in essere a favore della clientela. Promotore di tale accordo interbancario fu Luigi Luzzatti; il decreto in questione trovava, per altro, i propri fondamenti normativi nei seguenti provvedimenti:
In realtà non in Italia bensì a Vienna, nell’anno 1908, fu istituita la prima struttura per la centralizzazione dei rischi dotata di una seppur minima efficacia. Si trattava del cosiddetto “Istituto di evidenza dei crediti” (Evidenz-Zentrale fur den Eskompte offener Buchforderungen), sviluppatosi successivamente negli anni 1908-1913 e che, peraltro, avrà vita breve cessando nell’anno 1918. Fu proprio il Luzzatti, con tre articoli pubblicati sul “Sole” (il vecchio Sole 24 Ore) nei giorni 26, 30 e 31 ottobre del 1912, a descrivere l’istituto di evidenza dei debitori ed a segnalare il grave rischio del pluri affidamento per un debitore bancario. Scriveva il Luzzatti:
“Gli istituti centrali di evidenza hanno lo scopo di controllare gli accreditati che mobilizzano i fidi registrati nei loro libri, con il fine di evitare le cessioni doppie. I consorzi bancari e gli altri istituti di credito, che fanno parte della Centrale di evidenza, notificano subito tutte le variazioni nello stato di credito dei loro clienti, ossia i rifiutati, le concessioni, gli aumenti, le riduzioni, le disdette”
In assenza di strumenti informatici l’accentramento dei fidi richiedeva un complesso meccanismo di trascrizioni cartacee, così descritto dal Luzzatti:
“i dati così ottenuti vengono dall’Ufficio Centrale inscritti sui cartoncini di un catasto di tutti coloro che si fanno anticipare del denaro sui loro crediti, registrati nei libri commerciali. Per tal modo si evita che una ditta possa scontare due, o più volte lo stesso credito presso diverse Banche”
Le idee del Luzzatti, grande statista e banchiere, sono ancora attuali anche se non coniugabili con il mondo bancario moderno. Egli scriveva: “nel passato il pericolo era nella deficienza, oggi nell’abuso del credito. Le troppe banche si disputano i clienti buoni o cattivi ed i debitori assetati di mezzi pecuniari battano alle porte i tutti gli istituti, i quali, ignari di fidi da altri concessi, intoppano facilmente in facili affari. Quando vengono i fallimenti o le sospensioni dei pagamenti, troppo tardi si avvedono di avere lo stesso debitorie ed invano si dolgono di larghezze ormai irrevocabili”
Un altro grande economista – Mario Alberti – nella sua opera La finanza moderna, l’evoluzione e l’essenza tecnica del credito mobiliare (edizione Giuffrè, 1934), ribadì la necessità di affidare la creazione e la gestione di un Istituto di evidenza dei fidi da commissionare alla Banca di Italia. Il compito sarebbe stato quello di
Prima dell’emanazione della legge bancaria del 1936 la disciplina in vigore – Regio Decreto Legge del 06.11.1926 n. 1830 – all’art.16 prevedeva un limite legale all’ammontare del fido erogabile, pari ad un quinto del capitale versato e delle riserve delle aziende di credito.
Sarà, tuttavia, la legge bancaria del 1936 a stabilire, all’art. 35, che l’ispettorato ha i fondamentali compiti di determinare i limiti massimi dei fidi concedibili e di stabilire norme e termini per le riduzioni in caso di constatate eccedenze; di emanare norme relative alle dichiarazioni, che i richiedenti i fidi devono rilasciare sulle loro condizioni patrimoniali ed economiche, perché i fidi stessi vengano concessi.
All’art. 95 della legge di conversione era previsto il reato di mendacio bancario, in base al quale era sanzionabile penalmente chi, al fine di ottenere concessioni di credito per sé o per le aziende amministrate o di mutare le condizioni cui il credito venne primariamente concesso, forniva dolosamente notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria delle aziende comunque interessate alla concessione del credito. In tal modo, con la previsione del mendacio bancario, era stata posta dalla legge una remora alla richiesta di fidi, cui non facevano riscontro adeguate garanzie patrimoniali, per tal guisa operandosi un indiretto controllo dei fidi multipli.
Negli anni ’60 fu il Governatore della Banca d’Italia Guido Carli, nell’assemblea generale dei partecipanti del 30 maggio 1964, nelle sue Considerazioni finali a dover richiedere un organo interbancario appositamente da istituirsi nell’ambito della Banca di Italia con funzioni di Ispettorato e di Vigilanza degli intermediari bancari.
È, infatti, passato alla storia quel discorso, le cui linee salienti si individuano in sette punti.
Si individuava la cosiddetta posizione globale di rischio derivante dall’interscambio delle informazioni necessarie tra la Centrale rischi e le aziende di credito.
Nel 1993, rispetto al vecchio T.U. del 1936, il problema si poneva in una logica diversa per il rispetto delle direttive comunitarie: l’art. 53 dell’attuale testo unico, che rientra nel Titolo III Capo I (quello che tratta della Vigilanza delle Banche), è indicato dal legislatore come Vigilanza Regolamentare.
Si pone la questione in modo netto e preciso: la Banca d’Italia, in conformità alla deliberazione del comitato interministeriale del credito e del risparmio (CICR), rimanda a
disposizioni di carattere generale, che hanno come finalità il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni. Dunque la Centrale Rischi, come la definisce il legislatore all’art. 53, è un mezzo necessario per il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni.
Il troncone dell’art. 53 che ci riguarda ha questa testuale formulazione: “la Banca di Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR emana disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni”.
Dopo la delibera del CICR del 29 marzo 1994 la materia è stata novellata ed integrata, dato che la Banca d’Italia ha emanato, in data 14 novembre 2001, istruzioni per gli intermediari finanziari, implementando così la fondamentale Circolare del 11 febbraio 1991. Uno degli ultimi aggiornamenti di quest’ultima risale alle circolari del 04.03.2010, del 24.04.2011 e del giugno 2016.
Decisiva, a questo punto, diventa la disposizione dell’art. 51, comma 1, TUB, a tenor della quale “le banche inviano alla Banca d’Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni altro dato e documento richiesto. Esse trasmettono anche i bilanci con le modalità e nei termini stabiliti dalla Banca d’Italia”.
Il mezzo necessario è stato configurato in uno strumento informatico, al quale le banche e le società finanziarie autorizzate fanno pervenire un flusso di informazioni, che raccolga tutti i dati sulle posizioni di credito di un imprenditore.
C’è una preliminare questione da dirimere: tra il rispetto dell’interesse alla privacy, circa le informazioni sul conto di un imprenditore, e quello pubblico per la tutela, lo sviluppo e la cura del credito e del risparmio, che rappresenta la finalità di natura costituzionale degli istituti di credito (art. 47 Cost.), quale tra i capi dell’alternativa prevale?
Per il legislatore, quest’ultimo, dal momento che è un beneficio per l’economia nazionale avere al cospetto imprese sane e solvibili.
La Centrale Rischi diventa, dunque, un sistema informativo sulla posizione debitoria individuale del soggetto affidato; partecipano alla C.R. le banche iscritte all’albo di cui all’art. 13 TUB, tutte le società che sono autorizzate a concedere finanziamenti.
Gli istituti di credito e le società finanziarie autorizzate a concedere credito nel linguaggio del legislatore sono definiti intermediari, perché forniscono adeguate e puntuali informazioni al sistema della Centrale rischi.
La posizione che si riferisce ai segnalati viene definita censimento.
Gli intermediari comunicano periodicamente, su richiesta della Banca d’Italia e con le modalità da questa stabilite, l’esposizione nei confronti dei propri affidati e dei nominativi collegati, per esempio i fideiussori. Ad ogni soggetto partecipante, dunque, agli istituti di credito e a chi ne fa debita richiesta, la Banca d’Italia fornisce periodicamente la posizione globale di rischio di ciascun affidato e dei nominativi collegati.
Sul piano tecnico questo processo dà vita ad un flusso telematico di informazioni: in entrata, ogni banca è tenuta a conferire le informazioni su un determinato soggetto o impresa; in uscita, le informazioni, riordinate e contemplate, devono essere rese pubbliche.
Ha scritto l’autorevole Magistrato Antonio Scarpa:
“l’art. 51 del T.U.B pone a carico delle banche l’obbligo di inviare alla Banca di Italia, per l’espletamento della funzione di vigilanza informativa, le segnalazioni periodiche, nonché̀ ogni altro dato o documento richiesto. Le banche perciò sono tenute ad eseguire mensilmente alla Centrale rischi le segnalazioni della propria esposizione creditizia verso ogni cliente…In pratica la Centrale rischi è allora strumento essenziale attraverso il quale la Banca di Italia esercita la sua attività di controllo sulle funzioni degli istituti bancari di raccolta di risparmio e di erogazione del credito. L’organo di Vigilanza svolge all’uopo un’attività di interesse pubblico, raccogliendo le segnalazioni dei rapporti bancari in sofferenza e comunicando le stesse agli istituti creditizi, onde consentire a questi la valutazione di solvibilità dei soggetti richiedenti il credito. Sulla scorta delle segnalazioni provenienti dalle aziende di credito delle esposizioni creditizie della clientela che superano i limiti di censimento, la Banca di Italia avverte così le banche sulla posizione globale di rischio di ogni singolo nominativo, per il quale abbia ricevuto una comunicazione di concessione di fido. Inoltre la Banca di Italia fornisce, sulla base dei nominativi censiti nella centrale rischi, anche il cosiddetto servizio di prima informazione per tutte le finalità connesse all’attività di assunzione del rischio. Perciò il diritto di informazione delle banche sulla solvibilità della clientela finisce per prevalere sul diritto di riservatezza degli utenti, in relazione ai rapporti che intrattengono con gli istituti di credito”
Si snoda nel seno della normativa un dato fondamentale: il sistema pubblico di centralizzazione dei rischi rispetto a quello dei privati pone una partecipazione coatta ad esso di determinati intermediari, tenuti a fornire le informazioni. Si tratta dei soggetti sottoposti ad obblighi informativi nei confronti della Banca di Italia, che ne giustificano la dovuta partecipazione al sistema.
Essi sono indicati nell’art. 13 del TUB: “La Banca d’Italia iscrive in un apposito albo le banche autorizzate in Italia e le succursali delle banche comunitarie stabilite nel territorio della Repubblica”.
Dunque, tutte le banche italiane autorizzate,
sono tenute a partecipare obbligatoriamente al sistema pubblico di centralizzazione dei rischi[1].
La Circolare della Banca di Italia n. 139 del 11.02.1991 ci conferisce contezza di cosa effettivamente sia la Centrale rischi e di quali siano le sue finalità.
Così è stato descritto il funzionamento della centrale rischi dalla migliore dottrina: “La funzione della Centrale Rischi è quella di costituire un sistema informativo affidato alla banca centrale sulla posizione debitoria individuale dei soggetti per contenere il rischio di credito. Tramite la Centrale Rischi viene infatti data ai partecipanti un’informazione, seppur non esaustiva, onde valutare il merito di credito della clientela: la banca dati può essere infatti interrogata anche per ottenere informazioni su soggetti che non vengano segnalati dall’interrogante, sempreché tali informazioni siano finalizzate all’assunzione e alla gestione del rischio di credito: in altri termini per la gestione delle politiche dei prestiti.
Per quanto concerne il funzionamento, si può dire in generale che i soggetti obbligati a parteciparvi devono comunicare periodicamente alla Banca d’Italia le posizioni nei confronti dei propri affidati. La Centrale Rischi, a propria volta, tramite un flusso di ritorno personalizzato, fornisce la cd. posizione globale di rischio del soggetto all’interrogante, con un riassunto dei crediti del cliente, così creando un flusso bidirezionale tra Banca d’Italia e soggetti partecipanti.
Giova rilevare che, con i periodici aggiornamenti delle Istruzioni, si sono raggiunte sempre maggiori tutele per i segnalandi. Si può sottolineare, a tal proposito, che a partire dal quattordicesimo aggiornamento dell’aprile 2011, come accennato, per iscrivere un nominativo nella Centrale Rischi, il segnalante deve darne previo avviso al cliente, come accade da sempre per le banche dati private. Tale avviso ha la funzione di mettere il destinatario in condizione di poter porre tempestivo rimedio al proprio inadempimento, ma la giurisprudenza ha ritenuto, come detto, che, a differenza delle banche dati private, il mancato avviso non incida sulla validità della segnalazione, ma possa comportare un solo obbligo risarcitorio, qualora il presupposto sostanziale della segnalazione – si pensi, ad esempio, lo stato di insolvenza, nel caso di segnalazione «a sofferenza» – sia incontestato (A.B.F. Napoli, 24.10.2013; A.B.F. Roma, 15.3.2013, n. 1452, entrambe infra, sez. III).
Ad ogni buon conto, le Istruzioni prevedono una pluralità di segnalazioni che possono essere effettuate, secondo presupposti diversi e di maggiore o minore gravità: crediti «scaduti», «incagli», «ristrutturati», «sofferenze». Le due segnalazioni che possono comportare, in caso di errore, maggiori ripercussioni negative per il segnalato sono quelle «a incaglio» e «a sofferenza»: la prima si ha quando si è al cospetto di un ritardo, un inadempimento che prefigura una sorta di obiettiva difficoltà economica temporanea, prevedendo che la stessa possa essere rimossa in un congruo periodo di tempo; la seconda si ha quando il soggetto versi in uno stato d’insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda”
Deve, tuttavia, porsi nell’evidenza necessaria il dato fondamentale che gli intermediari sono tenuti a collaborare fattivamente con la Banca di Italia per fornire, nell’assoluta trasparenza, un quadro informativo completo ed obiettivo.
Nel Capo I, sez. I, par. 5 delle Istruzioni della Banca di Italia, contenute nella circolare n. 139 dell’11.02.1991- Responsabilità degli intermediari- è scritto: “Il corretto funzionamento della Centrale dei rischi si fonda sul senso di responsabilità e sullo spirito di collaborazione degli intermediari partecipanti […]. Gli intermediari sono tenuti a controllare le segnalazioni di rischio trasmesse alla Banca d’Italia e a rettificare di propria iniziativa le segnalazioni errate o incomplete riferite alla rilevazione corrente e a quelle pregresse.
Gli intermediari devono ottemperare senza ritardo agli ordini dell’Autorità giudiziaria riguardanti le segnalazioni trasmesse alla Centrale dei rischi (ad es. ordine di cancellazione di una sofferenza).
Ove l’ordine sia impartito alla Banca d’Italia, quest’ultima chiede prontamente tramite posta elettronica certificata (PEC) o a mezzo fax all’intermediario che ha effettuato la segnalazione di provvedere – tempestivamente e comunque entro i tre giorni lavorativi successivi a quello della richiesta – alla rettifica e all’eventuale riclassificazione della posizione oggetto di accertamento. In caso d’inerzia dell’intermediario, la Banca d’Italia provvede d’iniziativa entro il giorno seguente a quello di scadenza del predetto termine e avvia la procedura per l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 144 del T.U.B. nei confronti dell’ente segnalante”.
Si pongono fondamentali obblighi per gli intermediari di:
I presupposti affinché si abbia una segnalazione alla centrale rischi si rinvengono nella qualità e nella condizione del credito, nonché nella valutazione del tempo del relativo adempimento.
Al riguardo, è utile distinguere fra quattro diverse fattispecie, identificabili nel linguaggio del legislatore con l’espressione Stato del rapporto, rappresentante realisticamente la situazione del credito:
Giurisprudenza autorevole ha differenziato i crediti ad incaglio ed in sofferenza nel seguente modo:
“la segnalazione alla Centrale rischi di un credito in sofferenza deve ritenersi giustificata, allorquando la difficoltà del cliente, senza assumere i toni della cronica ed irreversibile situazione di inadempienza, si riveli connotata da caratteristiche di oggettività tali da incidere sulle possibilità di recupero del credito da parte della banca, dovendosi poi distinguere tra la situazione che legittima l’appostazione della relativa posizione tra quelle c.d. ad incaglio (che si risolve in un temporaneo disagio economico destinato ad essere superato in un congruo periodo senza che si prospetti siccome verosimile l’azione giudiziaria di recupero) e quella che giustifica la voltura della posizione a sofferenza, idonea a legittimare la segnalazione, perché si risolve in un inadempimento protrattosi nel tempo, non giustificato, che rende verosimile, ma non necessariamente attuale o già attuato, il recupero coattivo, senza escludere le possibilità di rientro o ristrutturazione del debito”
A maggior chiarezza il Tribunale di Cagliari statuisce: “ai fini della segnalazione della posizione a “sofferenza” alla Centrale dei rischi, è indispensabile che il segnalato si trovi in uno stato di persistente instabilità patrimoniale e finanziaria idonea ad intralciare il recupero del credito ad opera della banca. Deve, invece, considerarsi illegittima, e quindi provvedersi alla relativa cancellazione, quella segnalazione fondata su un temporaneo disagio economico del cliente (cd. “incaglio”), il quale abbia tempestivamente offerto alla banca di estinguere la propria posizione debitoria attraverso il pagamento dilazionato in più rate proporzionate all’entità del debito”
Posto, come vedremo, che intanto può essere operante una segnalazione qualora l’esposizione sia pari o maggiore di euro 30.000,00 (trentamila), le banche e gli intermediari sono tenuti a comunicare alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia le situazioni di sconfino dal fido o gli insoluti relativi al pagamento di rate o rimesse (anche rispetto ai differenziali scaduti e ad operazioni in strumenti derivati), secondo la seguente tempistica e metodologia:
Sono così identificabili i crediti oggetto delle segnalazione, che per il legislatore sono identificabili nella Modalità di rappresentazione dei rischi:
1) Crediti per cassa. Si tratta di finanziamenti concessi dalle banche alla propria clientela: per esempio quelli che attengono ai rischi autoliquidanti, ossia le anticipazioni effettuate dagli istituti di credito per consentire lo sconto delle fatture, anticipo per operazioni di factoring. Confluiscono nella categoria di censimento rischi autoliquidanti le operazioni caratterizzate da una fonte di rimborso predeterminata. Si tratta di finanziamenti concessi per consentire alla clientela l’immediata disponibilità di crediti non ancora scaduti vantati nei confronti di terzi e per i quali l’intermediario segnalante ha il controllo sui flussi di cassa. Di conseguenza, il rapporto coinvolge, oltre all’intermediario e al cliente, anche un terzo soggetto debitore di quest’ultimo. Si pensi allo sconto fatture, per il quale l’intermediario sconta la fattura anticipandone l’importo per poi rivolgersi al terzo (debitore ceduto), che, se non dovesse adempiere, lascia rivivere l’obbligazione del debitore principale cedente e soggetto finanziato dalla banca.
Nell’ambito dei crediti per cassa rientrano i rischi a scadenza, per esempio finanziamenti per leasing, mutui, prestiti personali. In tale tipo di crediti si rinvengono anche i rischi a revoca (aperture di credito in c/c concesse per elasticità di cassa). La categoria di censimento rischi a scadenza include le operazioni di finanziamento con scadenza fissata contrattualmente. Nella categoria di censimento rischi a revoca confluiscono le aperture di credito in conto corrente concesse per elasticità di cassa – con o senza una scadenza prefissata – per le quali l’intermediario si sia riservato la facoltà di recedere indipendentemente dall’esistenza di una giusta causa. Confluiscono, inoltre, tra i rischi a revoca i crediti scaduti e impagati, derivanti da operazioni riconducibili alla categoria di censimento rischi autoliquidanti (c.d. insoluti).
2) Crediti di firma: sono i crediti con i quali gli intermediari si impegnano a far fronte ad eventuali inadempimenti di obbligazioni assunte dalla clientela nei confronti di terzi, tra i quali ad esempio: avalli, fideiussioni e altre simili garanzie. Così sono definiti precipuamente nell’ambito della circolare del 1991: “La sezione crediti di firma comprende le accettazioni, gli impegni di pagamento, i crediti documentari, gli avalli, le fideiussioni e le altre garanzie rilasciate dagli intermediari, con le quali essi si impegnano a far fronte ad eventuali inadempimenti di obbligazioni assunte dalla clientela nei confronti di terzi. La segnalazione dei crediti di firma va effettuata a nome del cliente al quale è rilasciata la garanzia”.
3) Garanzie ricevute: garanzie reali e personali rilasciate agli intermediari, al fine di assicurare l’adempimento delle obbligazioni assunte dalla clientela. Trattasi di garanzie reali rilasciate da soggetti terzi rispetto all’affidato, per esempio un’ipoteca da parte di un terzo datore.
4) Derivati finanziari sottoscritti dai clienti e negoziati over the counter (ovvero fuori dal mercato). Ci si riferisce al credito vantato dall’intermediario nei confronti della controparte alla data di riferimento della segnalazione.
La segnalazione da parte dell’intermediario (Banca) avviene perché si determina:
1- in primo luogo uno sconfinamento: rispetto alla somma che viene affidata, il cliente va oltre quella che si può utilizzare. La Banca di Italia ha individuato tale sconfinamento nella misura pari o superiore ad euro 30 mila. Nel glossario della circolare della Banca d’Italia così è definito lo sconfinamento: differenza positiva tra l’utilizzato di una linea di credito e il relativo accordato operativo. Viene calcolata per ogni categoria di censimento. In altri termini, si vanno a comparare due grandezze: l’accordato, che non è altro che la linea di credito concessa al cliente, e l’effettivo utilizzato. La segnalazione si determina quando si va oltre l’accordato e la fuoriuscita dal fido sia pari o oltre a 30 mila euro. La segnalazione, altresì, si verifica per ogni tipo di contratto bancario (si pensi all’ipotesi di un mutuo, le cui rate non siano state pagate, o ad un finanziamento per il quale si evidenzia un’oggettiva insolvenza del sovvenuto mutuatario).
Lo sconfinamento è stato così definito dal legislatore, nel riformato art. 121 TUB, che ha tenuto conto della normativa del Codice del Consumo: “”sconfinamento” indica l’utilizzo da parte del consumatore di fondi concessi dal finanziatore in eccedenza rispetto al saldo del conto corrente, in assenza di apertura di credito ovvero rispetto all’importo dell’apertura di credito concessa”.
Così è stato, di contesto, commentato dalla migliore dottrina: “Sul piano contabile, il termine “sconfinamento” e le sue varianti, pure frequenti nella prassi (scoperto, fido di fatto, rosso di conto, ecc.) esprimono l’idea della voce a debito del cliente, che non trova rispondenza e copertura nel fido da apertura di credito (e/o strutture similari), nel caso concessagli, né nelle somme che egli abbia depositato sul conto. Ne segue una visione assai unificante del fenomeno, che sembra per l’appunto concentrato sul rappresentare una voce a debito che incontra un conto corrente non «capiente»”
Si rimarchi che è stato ben sottolineato da quest’autore che “lo sconfinamento si determina in realtà per una tolleranza della stessa banca, che consente che il proprio cliente sia fuori fido. Siamo nel caso in cui la Banca esprima il suo consenso alla richiesta del cliente di versare somme nelle sue mani, di metterle a disposizione sul suo conto corrente o anche di terzi, attraverso un previo bonifico o un assegno. Quanto a quest’ultima ipotesi la banca effettua un servizio di pagamento a favore del cliente, anticipandogli le relative somme; e così risponde al mandato che la richiesta del cliente le ha affidato. Difficile, se non anzi impossibile, leggere in una simile fattispecie qualcosa di più sul piano contrattuale: la richiesta del cliente innesca una semplice delegazione allo scoperto; l’esecuzione della banca integra gli estremi dell’anticipazione del mandatario; scatta nell’immediato il diritto della banca al rimborso dell’anticipato; gli interessi applicati sulle relative somme sono interessi da ritardo”
La segnalazione, se è di sconfinamento, diventa automatica appena si vada oltre la somma di € 30 mila.
In tal caso, secondo una giurisprudenza, rigorosa non è necessario alcun avvertimento al segnalato atteso il suo automatismo.
2- Quando il cliente va in sofferenza (appostazione a sofferenza) perché si determina una revoca dell’affidamento, una procedura concorsuale, un protesto, un pignoramento, un’iscrizione ipotecaria. In questo caso è la stessa Banca d’Italia a dover fornire indicazioni chiare nella circolare del 1991.
Affinché sia giustificabile la relativa segnalazione, l’intermediario deve dare precise informazioni sulla condizione di impotenza economica, considerando nella sua globalità lo stato di decozione dell’impresa. Nel seno della circolare è scritto che l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito. La contestazione del credito non è di per sé condizione sufficiente per l’appostazione a sofferenza.
Deve essere posto nella dovuta evidenza che le Banche hanno fondamentali obblighi informativi prima di effettuare la segnalazione alla centrale rischi, ai quali spesso non ottemperano. Occorrerebbe che la Banca inviti al contraddittorio il potenziale segnalato, affinché il medesimo conferisca giustificazione al presunto allarme provocato dalla sofferenza che gli si debba ascrivere. Quest’obbligo informativo incontestato nel caso di segnalazione a sofferenza è sussumibile – per una coraggiosa giurisprudenza – anche quando la segnalazione avviene per effetto automatico dello sconfinamento oltre i 30 mila euro. Per esempio è stato ritenuto che “in caso di inadempimento del debitore principale, non si può procedere alla segnalazione automatica in centrale rischi a carico del garante e, nel caso in cui quest’ultimo ne richieda la cancellazione, è onere della banca dimostrare di aver valutato, prima di effettuare la segnalazione, l’esistenza di uno specifico rischio di inadempimento in capo al garante”
Una particolare importanza sul piano dell’operatività bancaria è venuto a rivestire l’obbligo dell’intermediario di informare il cliente in corrispondenza della prima segnalazione pregiudizievole effettuata a suo carico presso una centrale rischi creditizia. Siffatto obbligo è stato espressamente introdotto per l’appostazione “a sofferenza” presso la Centrale Rischi di Banca d’Italia con il 13º aggiornamento del 2010 nella Circolare n. 139/1991 e, pressoché contestualmente, è stato legislativamente sancito, con la novella dell’art. 125, comma 3º, t.u.b. avvenuta ad opera del d.lgs. 141/2010, in relazione alle segnalazioni negative relative a rapporti di credito al consumo effettuate presso qualunque centrale rischi, sia di natura pubblica che privata.
Del resto è la stessa circolare della Banca di Italia del 04.03.2010 che pone l’obbligo dell’intermediario di dover informare per iscritto il cliente nel caso che si tratti della prima segnalazione a sofferenza. Tale disposizione è stata ribadita nel 14° aggiornamento avvenuto il 29/04/2011 e con l’aggiornamento del 2016.
L’obbligo del preavviso è, dunque, necessario se il segnalato sia un consumatore. L’art. 125 del TUB modificato ha, infatti, stabilito che gli intermediari devono necessariamente avvertire il consumatore per la prima volta che possa essere segnalato alla centrale rischi, in modo che gli sia data l’opportunità di farvi fronte. È scritto nella legge: “I finanziatori informano preventivamente il consumatore la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina. L’informativa è resa unitamente all’invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma”.
È stato scritto:
“Si tratta, a ben vedere, di un obbligo ispirato a consentire al cliente di venire per tempo a conoscenza della possibilità che al proprio nominativo sia associata un’informazione negativa, idonea a incidere sulla valutazione del suo merito creditizio e, pertanto, a determinare conseguenze in punto di accesso al (e mantenimento del) credito. Sotto questo profilo, non sembra difficile ravvisare il fondamento di siffatto obbligo, ancora una volta, nel dovere di buona fede e correttezza, come mostra anche il fatto che in relazione all’appostazione “a sofferenza” presso la Centrale Rischi di Banca d’Italia alcune pronunce rese dall’ABF proprio alla luce di questo principio si erano già spinte a ritenere che agli intermediari spettasse l’obbligo di consultare preventivamente il cliente ”
(Cfr., in particolare, ABF, 17 luglio 2010, n. 722; ABF, 17 maggio 20011, n. 1022, le quali hanno affermato che anche prima dell’espressa previsione nell’ambito della Circolare n. 139/1991 doveva ritenersi sussistere un obbligo di preavviso della segnalazione “in quanto da ricollegare al generale principio di correttezza”. Per il riconoscimento che il dovere di esplicitare per iscritto l’imminente registrazione del nominativo del debitore tra i soggetti “a sofferenza” individua “un principio divenuto ormai immanente al sistema delle relazioni tra l’intermediario e la propria clientela e che può persino prescindere dalla normativa in esame”, v. ABF, 14 novembre 2011, n. 2451)
Il problema è stabilire se quest’obbligo previsto per il consumatore sia estensibile anche per gli imprenditori individuali e collettivi.
Sempre il Frigeni ha sostenuto:
“Tuttavia, al di là delle complicazioni derivanti dall’immaginare che l’obbligo di comunicazione si atteggi in maniera diversa a seconda che il cliente da appostare «a sofferenza» sia o meno titolare anche di un rapporto di credito al consumo, se si condivide quanto sopra affermato in merito al fondamento della disposizione in esame e alla specifica finalità che essa persegue, pare giocoforza concludere nel senso della necessità che la comunicazione venga effettuata dall’intermediario prima di procedere alla segnalazione della sofferenza”
Parte della giurisprudenza ha dato il suo assenso che, se disatteso dalla banca, sarebbe fonte di responsabilità risarcitoria: “E’ illegittima la segnalazione nella categoria di “sofferenza” presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia che sia stata eseguita in mancanza del dovuto preavviso al cliente il quale, per risultare effettivo, deve sostanziarsi in una informativa completa, chiara e tempestiva e in corrispondenza di un credito sottoposto a contestazione giudiziaria, avente i caratteri della serietà e della non manifesta infondatezza: ne consegue un danno non patrimoniale – sub specie di danno alla reputazione personale – da ritenersi in re ipsa, liquidabile in via equitativa”
Il Tribunale di Torino ha recentemente statuito, in parte motiva, che “l’invio del preavviso deve considerarsi requisito indefettibile per la validità della segnalazione a sofferenza, come del resto già statuito da questo Tribunale in una fattispecie del tutto analoga (Sezione prima, ordinanza cautelare 13.06.2016, RG 13379/2016), avendo il preavviso lo scopo di consentire al segnalando di interloquire con la Banca circa la legittimità della segnalazione ma anche quello di consentirgli un pagamento al fine di evitare la segnalazione (viste la gravità delle conseguenze connesse ad una segnalazione a sofferenza) oltre che lo scopo generale di tutelare la trasparenza e la correttezza delle banche dati creditizie; che così, del resto, si è pronunciata anche la giurisprudenza prevalente sia in relazione alla segnalazione al Crif sia in relazione alla segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia: si vedano al riguardo le seguenti pronunce tutte relative alla segnalatone presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, ma i cui principi valgono anche per l’analoga normativa applicabile al Crif Tribunale Brindisi, 15/05/2018, Tribunale Firenze sez. III, 30/06/2016, n. 304; Tribunale Asti, 24/06/3015; Tribunale Milano 2803/2013; Tribunale Roma 1669/13; Tribunale Napoli 2663/2013; Tribunale Salerno, 07/04/2015);che, dunque, incombe sulla Banca l’onere della prova che il preavviso della segnalazione sia antecedente alla segnalazione stessa”
Allo stesso modo: “La tutela del preavviso di segnalazione in centrale rischi va accordata in ragione della generalizzata condizione di (semi-)analfabetismo finanziario in cui versa il cliente medio e dell’esigenza di colmare il gap informativo rispetto alle regole di un mercato caratterizzato da un elevato tasso di opacità, complessità e rischiosità. Si ritiene, dunque, assimilabile la posizione dell’imprenditore individuale a quella del consumatore, in considerazione delle sue esigenze protettive e del suo livello di educazione finanziaria”
Autorevole dottrina ha sostenuto come appaia giusto e redditizio “estendere il concetto di “debolezza contrattuale” oltre la categoria dei consumatori per quanto riguarda l’obbligo di preavviso di segnalazione in centrale rischi a carico dei finanziatori e ciò sia per quanto riguarda la c.d. microimpresa, sia, soprattutto, per quanto riguarda il professionista persona fisica, per il quale può essere comunque particolarmente complesso conoscere tutti i meccanismi che regolano un settore, come quello bancario, caratterizzato da un accentuato tecnicismo e da un non indifferente grado di rischiosità dei prodotti e dei servizi in esso offerti. È opportuno, piuttosto, basarsi sulle specifiche esigenze protettive dei debitori da segnalare, avendo riguardo soprattutto al loro effettivo livello di educazione finanziaria”
Se vi è parificazione tra consumatore ed imprenditore individuale parte della giurisprudenza ha sollevato qualche perplessità per le società e persone giuridiche.
Il Collegio di Coordinamento, con la decisione n. 4140 del 20 maggio 2015, ha definitivamente composto la questione, ritenendo, in ragione della disciplina riformata, non applicabile l’obbligo di preavviso alle persone giuridiche. Il Collegio ha escluso l’esistenza di un principio generale di tutela avverso il mancato avviso dell’imminente segnalazione in centrale rischi, e, quindi, l’estensione alle persone giuridiche della disciplina in analisi, qualificando la stessa come speciale (e, perciò, suscettibile solo di stretta interpretazione), in quanto apprestata in favore di una particolare categoria di soggetti (ossia le persone fisiche), che, per qualità e quantità di mezzi (presumibilmente) a loro disposizione, deve essere ritenuta meritevole delle maggiori tutele prospettabili.
“L’art. 125, comma 3, TUB prevede che i finanziatori debbano informare preventivamente il “consumatore” la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina, sicché detta norma, inserita nel capo Il relativo al “Credito ai consumatori”, non sembra minimamente contemplare le persone giuridiche (ubi lex voluit, dixit). E non par dubbio che le richiamate disposizioni, avendo natura “speciale”, sono di stretta interpretazione e perciò insuscettibili di applicazione estensiva nei confronti di soggetti diversi, come le persone giuridiche, del tutto estranei al sistema conchiuso del credito ai consumatori”, soprattutto considerando “[…] l’interesse professionale e gli strumenti di conoscenza di cui specialmente le persone giuridiche (e non le persone fisiche), dispongono per controllare le loro posizioni debitorie e per fronteggiare i rischi di segnalazione nelle banche dati. Pensare dunque di estendere alle persone giuridiche, sulla base di principi generali di diritto comune (che valgono però anche per le persone fisiche), una speciale disciplina procedimentale che è stata apprestata in considerazione di esigenze di meritevolezza che attengono a una diversa e particolare categoria di soggetti, significherebbe vanificare una scelta di diritto positivo, che è inibita all’interprete”
È stato ritenuto che detta comunicazione debba effettivamente pervenire all’indirizzo del destinatario; anzi, in molteplici decisioni dell’arbitro bancario finanziario l’onere della prova cade nella sfera dell’intermediario che ne pone mano: “Nell’ipotesi dell’invio del preavviso di segnalazione tramite posta ordinaria, anziché a mezzo posta raccomandata o altro strumento di trasmissione equivalente, l’intermediario rimane gravato dall’onere di provare la conoscenza della comunicazione da parte del destinatario, senza potersi avvalere della presunzione di cui all’art. 1335 c.c.”
Essa deve essere chiara e specifica: “Non costituisce un vero e proprio preavviso la comunicazione inviata dalla banca circa l’imminente segnalazione in Centrale dei rischi quando essa rivesta carattere generale e astratto. Detta comunicazione deve essere specifica e puntuale, in modo da consentire al cliente, in relazione a uno specifico inadempimento, di evitarsi conseguenze pregiudizievoli attraverso il tempestivo pagamento del debito”
Quando, poi, si tratta di dover effettuare la segnalazione alla centrale rischi, in ragione di una sofferenza da ascrivere al correntista, la migliore giurisprudenza di merito di recente conio ha così statuito: “la segnalazione a sofferenza, proprio per il margine di discrezionalità attribuito all’intermediario nella valutazione rispetto ad altre segnalazioni a carattere automatico, richiede all’intermediario una attenta verifica della situazione di fatto, al fine di contemperare l’esigenza di contenimento del rischio creditizio e la tutela dell’interesse privato del soggetto segnalato”
La ponderata valutazione della situazione complessiva del cliente da parte della banca scaturisce anche dal dovere di correttezza contrattuale (art. 1175 c.c.), che si concretizza nella tutela dell’affidamento, di protezione e salvaguardia dell’interesse del cliente, atteso che la buona fede è anche fonte di etero integrazione del contratto.
La banca deve procedere con l’attenta valutazione economica della situazione globale del debitore, prima di effettuare una qualsivoglia segnalazione alla Centrale Rischi (nel senso delle rilevanza della buona fede, cfr. anche Trib. Milano 23 settembre 2009 e Trib. Monopoli 17 giugno 2008).
“Nell’effettuare siffatta attenta valutazione la banca è tenuta, ove necessario, anche ad instaurare il contraddittorio con il cliente e segnatamente nei casi in cui la sua situazione finanziaria appaia complessa, nel senso che non si manifesti palesemente pregiudicata al punto da poter ritenere senz’altro a rischio la riscossione del credito. Invero, come detto, se la finalità della segnalazione alla Centrale Rischi è quella di allarmare gli altri istituti di credito circa solvibilità del soggetto segnalato, è essenziale svolgere la valutazione richiesta con particolare attenzione, al fine di non escludere dal sistema del credito un soggetto che, al contrario, ad una più attenta analisi, sarebbe risultato essere meritevole. Pertanto, “la valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente” di cui parla la Banca d’Italia, va intesa nel senso che può rendersi necessaria anche la consultazione del cliente a chiarimenti sulla sua esposizione debitoria”
Nel recente aggiornamento è espressamente statuito che gli intermediari hanno l’obbligo di verificare preventivamente le segnalazioni trasmesse alla centrale rischi, in modo da garantire la qualità dei dati fin dal primo invio. Nel caso di errori, riscontrati dopo la trasmissione, le banche hanno l’obbligo di correggerli con la massima tempestività.
Presupposto fondamentale affinché si determini la segnalazione a sofferenza è la sussistenza di uno stato di insolvenza, da non confondersi con una temporanea difficoltà. “Deve essere escluso lo stato di insolvenza, ovvero la sussistenza di una situazione ad esso equiparabile, che legittima l’invio della segnalazione alla Centrale Rischi istituita presso la Banca d’Italia, qualora lo stesso sia stato dedotto da elementi non idonei a valutare compiutamente la capacità finanziaria dei soggetti ed enti di cui è stato dichiarato. Rilevato, infatti, che la dichiarazione di stato di insolvenza deve essere frutto di una valutazione negativa della situazione patrimoniale, valutazione oggettiva di grave e non transitoria difficoltà economica e incapacità finanziaria, non è legittimo far pervenire la relativa segnalazione alla Centrale Rischi, fondando detta dichiarazione sull’apprezzamento generico dei bilanci societari, anche se in perdita da diversi anni, nonché sulla sussistenza di esposizioni della medesima società nei confronti di altri Istituti di Credito. Risultano di contro elementi idonei ad escludere siffatta valutazione l’operatività sul mercato dell’impresa, il fatto che la stessa sia titolare di un patrimonio immobiliare ed in attrezzature ben superiore al credito vantato dall’Istituto bancario segnalatore e l’assenza di procedure esecutive o elevazioni di protesti. Deve peraltro essere rilevato che è onere di ciascun Istituto bancario, indipendentemente da ogni ulteriore ed approfondita indagine relativa alla capacità finanziaria dei propri clienti in presunta sofferenza, compiere, ricorrendo allo stesso sistema informativo della Centrale, accertamenti relativi ad elementi sintomatici dello stato di insolvenza quali la revoca degli affidamenti, l’emissione di decreti ingiuntivi, la sussistenza di azioni di recupero di crediti, pignoramenti, protesti, procedure esecutive in corso. L’omissione in ordine all’esecuzione di detto tipo di attività preliminare da parte dell’Istituto bancario che, come detto, abbia fondato la propria segnalazione solo su una superficiale valutazione dei bilanci e delle esposizioni del cliente, connota il comportamento dello stesso come imprudente e tecnicamente imperito”
Ne consegue, dunque, che la segnalazione è illegittima qualora la Banca non abbia tenuto conto della globale situazione economica dell’imprenditore che escluda, a prescindere del debito con l’istituto di credito, uno stato di insolvenza; non abbia assicurato la necessaria istruttoria all’imprenditore, tanto da doverlo preventivamente informare e notiziare circa la sua appostazione a sofferenza.
La Cassazione ha recentemente stigmatizzato che “in tema di attività bancaria, ai fini della segnalazione alla centrale dei rischi, la nozione di “insolvenza” non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria”, ovvero come di “grave difficoltà economica” senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità”
“La segnalazione di una posizione “in sofferenza” presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, secondo le istruzioni del predetto istituto e le direttive del CICR, richiede una valutazione, da parte dell’intermediario, riferibile alla complessiva situazione finanziaria del cliente, e non può quindi scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile (anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza), desumibile da concrete circostanze di fatto, quali la pluralità di inadempimenti, la costituzione di garanzie reali in favore di terzi o l’esistenza di procedure esecutive infruttuose”[4].
Si è, dunque, ritenuto che non sussiste lo stato di insolvenza se l’inadempimento sia singolo e la crisi economica non sia perdurante: “Per la segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia è necessario un oggettivo stato di difficoltà del debitore di adempiere alle proprie obbligazioni, vale a dire un vero e proprio stato di insolvenza, del quale la Banca nell’effettuare la segnalazione alla Centrale dei rischi deve fornire adeguata motivazione a seguito di idonea, accurata ed evidenziata istruttoria, indicando con precisione gli elementi che la inducono a far ritenere quel determinato soggetto “in stato di insolvenza” che non possono ridursi, in mancanza di altri indizi, al mero inadempimento, o ritardo dello stesso, relativo ad un singolo rapporto”
Se, pertanto, il concetto di stato di insolvenza non è parificabile a quello dell’art. 5 della legge fallimentare, esso non è parificabile neppure a sconfinamenti ripetuti: “in tema di segnalazione in sofferenza alla Centrale dei Rischi, in assenza di segnali di allarme (protesti, pignoramenti, provvedimenti giudiziali di condanna), l’utilizzazione di mezzi finanziari reperiti dal sistema bancario non costituisce da sola indice di “insolvenza” seppure nell’accezione “levior” individuata per la segnalazione a sofferenza; infatti, gli sconfinamenti (che, peraltro, rientrano fra le segnalazioni a carattere automatico) non sono indice in sé e in assenza di segnali di mancati pagamenti dei creditori, di incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”
Il Frigeni, nel saggio già citato (Banca Borsa e Titolo di credito, fasc.4, 2013, pag. 365), ha dato una chiara ed evidente lettura di come possa essere definito il credito contestato e di quali siano le sue conseguenze sul piano giudiziale.
Negli aggiornamenti alla circolare della Banca di Italia nell’anno 2010 viene, dunque, inserita anche la fattispecie del credito contestato. Deve, perciò, l’intermediario dare specifico conto dell’esistenza di una contestazione concernente la segnalazione, ogni qual volta il cliente abbia sollevato eccezioni promuovendo un giudizio di fronte a un’autorità terza.
Più precisamente, ai sensi del cap. II, sez. 3, § 9 della Circolare n. 139/1991, come risultante dal 13º Aggiornamento del 4 marzo 2010, “si considera «contestato» qualsiasi rapporto oggetto di segnalazione (finanziamenti, garanzie, cessioni, etc.) per il quale sia stata adita un’Autorità terza rispetto alle parti (Autorità giudiziaria, Garante della Privacy o altra preposta alla risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela).
L’esistenza della contestazione deve essere indicata a far tempo dalla rilevazione relativa alla data in cui l’intermediario riceve formale comunicazione della pendenza del giudizio”.
È in ultima analisi il cliente, con il suo comportamento, che significa il contenuto dell’informazione destinata a essere condivisa a livello di sistema: “siffatta disposizione si inquadra nella tendenza ad assoggettare l’intermediario a obblighi di correttezza verso il proprio cliente in relazione alle segnalazioni effettuate a carico dello stesso. La funzione assolta dall’introduzione di questa nuova variabile nelle categorie di censimento si colloca, così, più che sul versante della completezza informativa della banca dati, su quello della tutela del cliente: alla banca viene fatto obbligo, a prescindere — in linea di principio — da ogni valutazione nel merito circa la fondatezza delle eccezioni fatte valere dal cliente, di dare conto al sistema della pendenza di un giudizio avente ad oggetto il rapporto dal quale trae origine la segnalazione”
Il credito deve essere contestato in modo tangibile. Tale contestazione, cioè, deve prima facie non essere infondata e dilatoria, ma effettivamente pregnante e sussistente, affinché la banca possa derubricare l’appostazione da credito a sofferenza a credito contestato.
La migliore giurisprudenza ha così statuito:
“La segnalazione alla centrale rischi della Banca d’Italia di un debito contestato come posizione di “sofferenza” è illegittima e può essere inibita con provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., qualora la contestazione abbia i caratteri della non manifesta infondatezza e sia posta a fondamento del rifiuto di adempiere”
In parte motiva di detta ordinanza si legge: “Parimenti, non può essere considerata lecita una segnalazione di un credito contestato (c.d. «credito litigioso») qualora la contestazione abbia i caratteri della non manifesta infondatezza (si pensi alle diffuse questioni spesso dibattute tra banca e cliente circa la legittimità dell’anatocismo fondato sugli usi normativi ex art. 7 n.u.b. per i contratti anteriori alla riforma dell’art. 120 t.u.b., ovvero alle questioni della legittimità o meno ex art. 1284 c.c. degli interessi ultralegali «uso piazza» ecc. e circa, di conseguenza, la correttezza, l’erroneità dei conteggi) e quando siffatta contestazione sia alla base del rifiuto del cliente (riconducibile giuridicamente alla c.d. «autotutela» di cui all’art. 1460 c.c.) di adempiere alla obbligazione pecuniaria oggetto di segnalazione (cfr., sul punto, Trib. Cagliari, ord. 28 novembre 1995, id., Rep. 1997, voce Provvedimenti di urgenza, n. 79, che fa il caso in cui, «a fronte di fondate contestazioni del cliente in ordine alla pretesa della banca, quest’ultima utilizzi la segnalazione come mezzo di illecita pressione, rivolta ad esempio ad una definizione più sollecita ed a condizioni più ‘gradite’ della controversia»).Infatti, se è vero che in virtù delle istruzioni della Banca d’Italia per gli intermediari finanziari adottate in attuazione della delibera Cicr del 29 marzo 1994 e della circolare della Banca d’Italia n. 139/91 i soggetti intermediari sono tenuti a segnalare le posizioni «a rischio», gli stessi, tuttavia, devono operare una valutazione complessiva sulle condizioni economiche e finanziarie del cliente e non possono dare rilievo al semplice ritardo nel pagamento di un debito, costituendo fonte di responsabilità le segnalazioni erronee, ovvero effettuate con finalità strumentali, utilizzando cioè indebitamente l’istituto allo scopo di esercitare una «pressione» sul cliente che avanzi delle semplici rimostranze in ordine all’esistenza ed entità del credito rifiutandone il soddisfacimento. Laddove la concreta situazione del cliente — sia pure inadempiente — non crei alcun allarme quanto alla sua generale solvibilità, non vi è ragione di creare un pregiudizio per la sua immagine commerciale ed anzi un diverso comportamento sarebbe sanzionabile sul piano della responsabilità civile (cfr. Trib. Palermo, ord. 4 novembre 2002, cit.; Trib. Milano, ord. 31 luglio 2001, id., Rep. 2003, voce Banca, credito e risparmio, n. 156).
L’appostazione di un credito in sofferenza e la conseguente segnalazione alla centrale dei rischi — nelle ipotesi appena menzionate e più in generale in assenza dei presupposti di legge — sarebbe infatti contraria ai principî di buona fede e correttezza nel funzionamento del rapporto bancario e legittimerebbe un addebito di responsabilità dell’istituto segnalante per violazione di quel dovere di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere all’esecuzione di qualsivoglia tipologia di contratto e che — in concreto — si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà il quale impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti i quali, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte (cfr., per tutte, al riguardo, da ultimo, Cass. n. 13345 del 7 giugno 2006, id., Mass., 1278)”.
La banca è, dunque, obbligata a derubricare il credito da stato di sofferenza a “contestato”.
Si legga quest’ordinanza del Tribunale di Milano: “L’art. 669 septies cpc nel prevedere che l’ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione dell’istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti nelle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto, individua le novità in presenza delle quali può essere riproposta l’istanza, fra le quale vanno ricomprese le allegazioni, nel nuovo ricorso, di ragioni di fatto o di diritto riguardanti non solo il fumus boni iuris, ma anche il periculum in mora, non proposte a sostegno del precedente ricorso (nella specie, è da accogliere il ricorso per erronea cancellazione alla centrale rischi e va derubricata la segnalazione da sofferenza a credito contestato, dal momento che, a suffragio di nuove circostanze e fatti sopravvenuti, ex art. 669 septies cpc, il ricorrente aveva depositato in udienza uno scambio di mail dalle quali emergeva che per la Banca, ogni
segnalazione negativa in Centrale Rischi (credito litigioso, sofferenza, sconfino) è motivo di “scoring” negativo nel sistema di valutazione del merito creditizio e che, pertanto, fino al permanere di tali segnalazione non sarebbe stato possibile alcuna concessione di credito sia sotto forma di carta di credito, sia di affidamento bancario”
Stante la specifica previsione in materia, contenuta nella Circolare n. 139/1991, di imporre agli intermediari di ottemperare senza ritardo agli ordini dell’Autorità giudiziaria riguardanti le segnalazioni trasmesse alla Centrale Rischi – premurandosi di precisare che la proposizione di un mezzo di impugnazione, stante l’immediata esecutività degli stessi, non esonera da tale dovere (Circolare n. 139/1991, cap. I, sez. 2, § 5) – l’intermediario, per intercessione della Banca d’Italia, dovrà dar seguito a tale derubricazione determinando fin da subito una corrispondente modifica delle risultanze della centrale rischi.
In maniera chiara e netta si è espressa la giurisprudenza quando si è posto il contrasto se utilizzare la tutela cautelare uniforme o ricorrere al Giudice della privacy, qualora si fosse palesata la necessità di cancellare il nominativo di chi fosse stato appostato erroneamente nella centrale rischi.
Si ponga mente a questi due provvedimenti del Tribunale di Verona: “In considerazione dell’esistenza del rimedio cautelare tipico previsto dal combinato disposto degli art. 10 e 5 d.lg. n. 150 del 2011, deve ritenersi inammissibile il ricorso al procedimento d’urgenza a carattere residuale di cui all’art. 700 c.p.c. per reagire a violazioni del codice della privacy quale l’erronea segnalazione a sofferenza del proprio nominativo nella Centrale rischi della Banca d’Italia”
Di segno diametralmente opposto è quest’altra pronuncia: “Allorquando, chi agisce per ottenere la sospensione o la cancellazione del proprio nominativo dalla centrale rischi si duole non già delle modalità con cui i dati relativi all’insolvenza siano stati raccolti, trasmessi o gestiti, ma semplicemente dell’assenza dei presupposti di fatto che legittimano la segnalazione alla centrale rischi, la relativa controversia non è riconducibile a quelle riguardanti l’applicazione della disciplina sul codice della privacy, ma piuttosto a quelle da responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.”
È, dunque, pacifico che la tutela, in caso di contestazione di un’annotazione alla centrale rischi, sia quella residuale del Giudice ordinario da compulsare ex art. 700 c.p.c., non ravvisandosi altro specifico strumento ordinamentale.
Devono sussistere sia il fumus boni iuris, riscontrabile, per esempio, nel fatto che non sussista lo stato di insolvenza-sofferenza, che la segnalazione sia avvenuta in assenza di un preavviso necessario, che il credito in sofferenza sia adeguatamente contestato, che la segnalazione appaia ritorsiva. Proprio in quest’ultimo caso si deve conferire importanza a quella giurisprudenza che ha ammonito gli intermediari, che hanno fatto un abuso della segnalazione per costringere all’adempimento coatto imprenditori in difficoltà economica, o che ha segnalato il caso in cui, addirittura, si è posto a fondamento di istanze di fallimento proposte dalle Banche medesime una scheda della centrale rischi, che apoditticamente segnalava uno stato di sofferenza: “deve reputarsi illegittima la segnalazione alla Centrale rischi della Banca D’Italia effettuata a scopo “ritorsivo” per forzare, cioè, il correntista a corrispondere somme non legalmente dovute”
Mentre la casistica è variegata quanto al fumus circa, invece, il periculum in mora la dottrina e la giurisprudenza si dividono nel ravvisare o meno la necessità della prova del danno subito. C’è la tesi minoritaria, secondo cui il danno si reputa in re ipsa, e l’altra, di segno opposto, che caldeggia l’esigenza che il ricorrente ex art. 700 c.p.c. debba provare il danno subito. La Cassazione ha sciolto recentemente il nodo gordiano ed ha ritenuto che “il danno all’immagine e alla reputazione per illegittima segnalazione alla Centrale rischi, in quanto costituente danno conseguenza, non può ritenersi sussistente in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento”
“Con riguardo alla segnalazione in Centrale Rischi, deve essere preliminarmente sottolineato che la stessa, normalmente, si verifica nell’ambito di un rapporto di natura contrattuale fra la banca ed il segnalato, con conseguente attrazione dell’eventuale responsabilità della banca all’interno del regime della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. Il danno da illegittima segnalazione in Centrale Rischi, però, non può essere considerato in re ipsa nell’illegittimità della segnalazione e non è nemmeno sufficiente la prova, da parte del danneggiato, di non aver potuto ottenere credito da altri istituti o intermediari a seguito della segnalazione: il danneggiato deve altresì provare il beneficio economico che avrebbe conseguito tramite l’impiego del denaro che gli è stato ingiustamente negato a causa della segnalazione”
Ancora: “In caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato “in re ipsa” per il fatto stesso dello svolgimento dell’attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell’art. 2050 c.c., il danno, e in particolare la “perdita”, deve essere sempre allegato e provato da parte dell’interessato”
La giurisprudenza è altresì giunta alla composizione di un’altra diatriba, il cui ubi consistam si ravvisava nel fatto di stabilire se con l’erronea segnalazione venisse leso un diritto assoluto nella categoria del neminem laedere – responsabilità extra contrattuale – o venisse posta a repentaglio la sola responsabilità contrattuale:
“La condotta dell’intermediario che effettui una illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi si configura come fonte di responsabilità contrattuale (la raccolta e trasmissione dei dati deriva da un rapporto contrattuale) ed extracontrattuale, a seguito della violazione dei canoni di correttezza e buona fede richiesti nello svolgimento di ogni rapporto obbligatorio secondo le norme generali ex artt. 1715, 1374, 1375 c.c. Dalla illegittima segnalazione di un nominativo alla Centrale Rischi derivano responsabilità per l’operatore finanziario, oltre al diritto al risarcimento dei danni per il soggetto segnalato illegittimamente”
Del resto, sono ammissibili entrambe le azioni e l’una non esclude l’altra: “è pienamente ammissibile il concorso di responsabilità contrattuale con responsabilità extracontrattuale, quando si tratti di un medesimo fatto che violi contemporaneamente sia diritti che alla persona spettano indipendentemente da un contratto o da un rapporto giuridico preesistente, sia diritti che derivano da un contratto o comunque da un vinculum iuris già esistente, ed in tal caso la pretesa del danneggiato può trovare il suo fondamento, oltre che nel generale precetto del neminem laedere, anche nel contratto, con la conseguenza che, venuta meno una delle due azioni per ragioni ad essa relative, come per prescrizione, rimane ferma l’altra azione, fondata sui medesimi presupposti di fatto e parimenti diretta a conseguire il risarcimento del danno, soggetta al proprio correlativo termine prescrizionale”
“L’erronea segnalazione produce sia un danno patrimoniale che non patrimoniale oltrechè la perdita di chance, da riconoscere anche alla persona giuridica. Poiché anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell’ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l’immagine della persona giuridica o dell’ente, allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito – come danno c.d. conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi, nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca. Il suddetto danno non patrimoniale va liquidato alla persona giuridica o all’ente in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. In riferimento ad indebita segnalazione da parte di istituto bancario di unasocietà alla Centrale Rischi della Banca d’Italia quale soggetto in posizione di c.d. sofferenza, deve riconoscersi, pertanto, la risarcibilità a tale società di un danno non patrimoniale per lesione del diritto all’immagine sotto i due profili indicati, da liquidarsi in via equitativa secondo le circostanze concrete del caso”
Quanto alla prova della perdita di chance, la giurisprudenza ha riconosciuto che “l’istituto bancario responsabile di una illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi è tenuto al risarcimento del danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. concernente la perdita di chance (mancato guadagno) subita dal soggetto illegittimamente segnalato”.
In questo caso deve essere conferita la prova della sussistenza del nesso causale facendo derivare eziologicamente dall’erronea segnalazione come unica causa efficiente in concorrenza con nessuna altra il danno subito: “In ipotesi di illegittima segnalazione alla centrale rischi il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato in re ipsa, ma deve essere sempre allegato e provato da parte dell’interessato. Quanto al danno patrimoniale, in particolare, il soggetto erroneamente segnalato alla centrale dei rischi è tenuto a dimostrare il nesso di causalità tra la segnalazione illegittima addebitabile alla banca ed il concreto danno conseguente, nonché a fornire indicazioni in merito all’entità dei danni patrimoniali subiti, di talché in mancanza nessun danno è liquidabile”.
Recentemente è stato presentato un disegno di legge al Senato della Repubblica, il n. 2136, finalizzato al rafforzamento dei poteri sanzionatori nei confronti delle banche che errano nell’effettuare una segnalazione alla centrale rischi. Così può essere sintetizzato:
Autorevole giurisprudenza di merito già ne ha condiviso lo spirito: si legga la sentenza del Tribunale di Padova del 9 marzo 2016, che ha condannato la banca al risarcimento del danno pari al doppio dell’importo segnalato a beneficio dell’impresa e dei suoi fideiussori.
Il meccanismo della gogna mediatica, conseguente ad una segnalazione alla centrale rischi che si rivela ex post errata, è di difficile riparazione.
Il legislatore dovrebbe intervenire nel far diventare norma questo disegno di legge, a tutela del consumatore e delle piccole imprese, segnalate anche per crediti che si rivelano usurari, proprio come ha dimostrato la sentenza di Padova.
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