“Con riguardo al recesso della banca dall’apertura di credito in conto corrente, ove l’istituto di credito, senza attendere lo spirare del previsto termine di preavviso per il rientro in relazione alla esposizione debitoria del cliente, richieda la emissione di decreto ingiuntivo nei suoi confronti, e, una volta ottenutolo, iscriva ipoteca giudiziale sui beni del fideiussore, è razionalmente riferibile alla descritta condotta, in base al principio “causa causae est causa causati”, la idoneità probabilisticamente dannosa di detto provvedimento (in riferimento alla incidenza negativa di esso nell’ambito dei rapporti creditizi e della possibilità di diffusione della conoscenza di esso, avuto riguardo ai penetranti strumenti informativi di cui dispongono le banche), con la conseguenza che correttamente viene, in tale ipotesi, ritenuta ammissibile la richiesta dell’ingiunto di condanna generica al risarcimento del danno” (Cass. 22.11.2000 n.15066).
Si può determinare infatti uno stato di insolvenza del correntista che la subisca ingiustificatamente.
Autorevolmente, a commento della sentenza della Corte Suprema n. 15769/2004 che attiene proprio a tal questione, è stato scritto: “è illecita la revoca brutale del credito. Da tale azione deriva, direi quasi ipso facto, una immediata degenerazione della crisi in stato di insolvenza. Abbiamo quindi un legame causaeffetto fra il “fatto” della revoca del credito e il “fatto” dell’insolvenza. Il problema è, appunto, disciplinare giuridicamente questi “fatti”, perché non divengano dannosi rispetto ad interessi meritevoli di tutela […]”. Nella motivazione, la Corte ha spiegato come un recesso,sostanzialmente libero da parte della banca, sarebbe in contrasto con principi fondamentali del diritto dei contratti, come quello di buona fede, di solidarietà fra i contraenti, del divieto di abuso del diritto […] Si è voluto evidenziare che il modo di recesso potestativo della banca non può ritenersi assolutamente insindacabile, perché deve pur sempre rispettarsi il fondamentale e inderogabile principio, secondo il quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.). Nel contratto di apertura di credito, si ha violazione di tale principio anche quando il recesso assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, connotati tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi abbia fatto conto di poter disporre della provvista creditizia per il tempo previsto, e quindi non potrebbe perciò pretendersi afferma ancora la Corte che sia pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali una apertura di credito viene normalmente convenuta. Se ne può dedurre, dunque, un obbligo di diligenza specifico della banca, che deve astenersi dal costringere il debitore ad una restituzione repentina del denaro. È interessante notare come la stessa Cassazione rilevi la stretta connessione fra la causa per cui il debitore stipula l’apertura di credito e la sua aspettativa di godere per un periodo determinato di liquidità. L’illiceità della condotta della banca sta proprio nella lesione del legittimo affidamento del debitore sulla disponibilità protratta di fondi. Il danno che deriva dalla rottura del credito è di dimensioni molto ampie, sia per la necessità di reperire rapidamente denaro per coprire la richiesta della banca, sia per la repentina carenza di liquidità che determina. Avendo fatto ragionevole affidamento sui fondi ottenuti attraverso l’apertura di credito, l’imprenditore avrà posto in essere una serie di attività, e quindi rapporti obbligatori, verso i quali, poi improvvisamente, si trova incapace di adempiere. La revoca brutale del credito è da ritenersi, secondo il ragionamento della Corte, abuso del diritto e violazione dei principi di buona fede. In altri termini il Tribunale non può, pur nei limiti dell’istruttoria prefallimentare, ignorare assolutamente che all’origine del fallimento vi sia un comportamento distorto degli istituti di credito che, con il loro ingiustificato agire, determinano irreversibilmente la carenza di liquidità per sopperire al governo dell’azienda” (Abusiva revoca del credito e accertamento dell’insolvenza di Massimiliano Fabbrini, pubblicato nella rivista di Diritto Fallimentare, 2005, 34, 2395).
Nella pratica dunque avviene che, prima della segnalazione alla centrale rischi, la banca, per un semplice inadempimento o sconfinamento, revochi i fidi con gravi conseguenze che possono sfociare in un’irreversibile crisi dell’impresa costretta al fallimento.
L’ordinanza in commento, in secondo luogo, si sofferma sul delicato tema della mancanza di un’attività istruttoria, propedeutica e necessaria, prima della segnalazione alla centrale rischi.
Ha scritto il Giudice di Milano: “la segnalazione a sofferenza, proprio per il margine di discrezionalità attribuito all’intermediario nella valutazione rispetto ad altre segnalazioni a carattere automatico, richiede all’intermediario una attenta verifica della situazione di fatto, al fine di contemperare l’esigenza di contenimento del rischio creditizio e la tutela dell’interesse privato del soggetto segnalato”.
Infatti prima della segnalazione occorrerebbe che la Banca inviti al contraddittorio il potenziale segnalato, affinché il medesimo conferisca giustificazione al presunto allarme provocato dalla sofferenza che gli si debba ascrivere.
Invero attenta giurisprudenza di merito in proposito ha statuito: “la banca deve procedere con l’attenta valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente debitore prima di effettuare la segnalazione a sofferenza alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. Nell’effettuare siffatta attenta valutazione la banca è tenuta, ove necessario, anche ad instaurare il contraddittorio con il cliente e segnatamente nei casi in cui la sua situazione finanziaria appaia complessa, nel senso che non si manifesti palesemente pregiudicata al punto da poter ritenere senz’altro a rischio la riscossione del credito” (Trib. Bari Monopoli, 19052011).
La ponderata valutazione della situazione complessiva del cliente da parte della banca, scaturisce anche dal dovere di correttezza contrattuale (1175 c.c) che si concretizza nella tutela dell’affidamento, di protezione e salvaguardia dell’interesse del cliente, atteso che la buona fede è anche fonte di etero integrazione del contratto.
Ecco perché la banca come si legge nell’ordinanza in commento deve procedere con un’attenta valutazione della situazione debitoria, prima di effettuare una qualsivoglia segnalazione alla Centrale Rischi.
Cardito, 16.02.2015
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