–, fasc.1, 2017, pag. 2
Biagio Riccio
Classificazioni: MUTUO – Interessi
Le presenti note riflettono i profili derivanti dalla sentenza a sezioni unite del 19.10.17 n. 24675.
Tale decisum risolve definitivamente la questione dell’usurarietà sopravvenuta, non riconoscendola e sancisce il significativo principio di diritto: “Allorchè il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; nè la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto“.
Letta in parte motiva essa risolve la questione posta dalla prima sezione della Cassazione del contrasto profilatosi nel seno del Massimo Collegio fra chi ritiene che debba essere conferito diritto di cittadinanza all’usurarietà sopravvenuta e chi invece caldeggia la tesi della sua negazione.
Così si legge nell’ordinanza di rimessione “La I Sezione della Corte di cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, la questione riguardante la possibilità di predicare la nullità sopravvenuta, seppure con effetto ex nunc, dei contratti di mutuo a tasso fisso conclusi in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. 7 marzo 1996, n. 108, allorché il tasso di interesse, pure non usurario al momento della stipula, risulti, in un qualsiasi momento dell’attuazione del rapporto, superiore alla soglia usura come determinata ai sensi del criterio di calcolo disciplinato dall’art. 2 della predetta legge”(Cass. civ. Sez. I Ordinanza, 31-01-2017, n. 2484).
Le sezioni unite giungono alle conclusioni che tra il momento del perfezionamento del contratto (della pattuizione) e quello della sua esecuzione (dazione) è rilevante solo il primo e non il secondo, perché conferiscono alla legge di interpretazione autentica, così come indicata nella norma del 7/03/1996 n.108 che converte il decreto legge 29.12.2000 n.394, un valore preminente che elide la struttura del reato di usura, come vedremo infra.
Siamo al cuore del problema che una volta individuato sarà possibile capirne le gravi ed ineludibili ricadute, anche sul piano pratico oltre che meramente teoretico e dogmatico.
In base alla scelta, all’opzione interpretativa delle sezioni unite, se si stabilisce un tasso fisso per esempio del 7% al momento della stipula del contratto di mutuo, tale dovrà essere sempre rispettato, anche quando, per le oscillazioni del mercato dei tassi effettivi globali medi, vi sia una discesa dei medesimi, immaginiamo al 4%. Saremmo al cospetto, per factum principis, di un’usurarietà sopravvenuta. Per la Cassazione la medesima non è ammessa, non trova diritto di cittadinanza e dunque la mutuante può pretendere il pagamento convenuto per un tasso del 7%, non subendo la tagliola della nullità della relativa clausola, a mente dell’art. 1815 secondo comma c.c, per la sopraggiunta usurarietà: il tasso 7 è maggiore di 4.
Così scrive Dolmetta: “Sembra, a conti fatti, che il problema dell’eventuale rilevanza dell’usura sopravvenuta abbia – nell’attuale diritto vivente della Cassazione – due sponde, o indici, di riferimento caratteristici: il suo riferirsi in via propria, se non esclusiva, ai rapporti «pendenti» nel 1996; il suo galleggiare in un incerto rapporto tra la normativa generale sull’usura, come scritta nella legge n. 108/1996, e la specifica norma (se non proprio speciale, almeno in una certa lettura) della legge n. 24/2001”(Così in Al Vaglio delle sezioni unite l’usura sopravvenuta).Se così si pone la questione del problema, si giunge ad un’interpretazione eversiva dell’art. 644 c.p, al diradare del suo spirito informatore, al non riconoscere l’humus della norma, rendendola nella sua pratica applicazione rarefatta ed evanescente, sino ad approdare all’irreversibile e desolante conclusione che l’usura non esista più, se ne nega la sua sussistenza, se non si ammette quella sopravvenuta.
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