Sommario
La riforma dell’art. 644 c.p., avutasi con la legge 108/96, concernente il reato di usura, ha determinato una rivoluzione copernicana anche nell’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale.
Si è ritenuto che il legislatore non solo abbia delineato l’usura oggettiva e monetaria, ma abbia posto l’accento sulla sussistenza del reato al momento della pattuizione, quando gli interessi vengono promessi o convenuti a qualsiasi titolo. Dunque, affinché si concreti il reato di usura non bisogna attendere il momento della dazione (che assume rilevanza solo ai fini prescrizionali). Il reato nasce, nella sua incandescenza delittuosa, al momento della pattuizione o della promessa.
Preliminarmente, per stabilire perché si reputi nulla la stipulazione contenente l’usura, è indispensabile profilare, nel suo nucleo concettuale, la nota differenza che la migliore dottrina penalistica ha posto tra reaticontratto e reati in contratto.
“”Con l’espressione reaticontratto si intende designare la categoria costituita da quelle fattispecie incriminatrici che la legge penale ha individuato e tipizzato per emettere, nei loro confronti, una censura di inammissibilità in senso assoluto. Trattasi di convenzioni negoziali reputate illecite di per sé : figure negoziali, tipiche o innominate, alle quali la presenza degli elementi costitutivi del reato conferisce lo stigma della illiceità penale, così di fatto sottraendole, per ragioni politicocriminali, alla libertà di iniziativa negoziale e all’autonomia dispositiva delle parti” [2].
La legge punisce il fatto stesso della conclusione del contratto, per la sottesa esistenza della norma penale, che descrive minuziosamente la condotta criminale.
Siamo al cospetto di una volontà negoziale illecita. La stipulazione è nulla, indipendentemente dalla sua esecuzione, perché la funzione economica sociale del contratto è contra legem, la sua causa non è degna della tutela ordinamentale.
Come rimodellata dalla L. n. 108/96, l’usura è strutturata, indubbiamente, come un reatocontratto, ovverosia una fattispecie legale o tipica, che sanziona penalmente qualsiasi negozio giuridico a prestazioni corrispettive, al quale sia oggettivamente annesso l’elemento accessorio della determinazione di interessi o di altri vantaggi usurari.
È del tutto indifferente, ai fini della rilevanza penale del fatto, il ruolo in concreto assunto dai due contraenti all’interno della vicenda contrattuale. Siamo al cospetto di un reato plurisoggettivo improprio perché, per l’attuazione del disegno criminoso, si richiede necessariamente e costitutivamente il consenso o la cooperazione della vittima, a prescindere se essa sia o meno voluta o coartata.
Il reato contratto è stato anche definito reato accordo, perché si punisce l’incontro delle volontà manifestatesi contra legem , indipendentemente dall’esecuzione del contratto.
Il contenuto del reato, secondo questa elaborazione, coincide con l’elemento oggettivo, con l’accordo negoziale: si prescinde dagli stati soggettivi (approfittamento dello stato di bisogno, debolezza e fragilità comportamentale del soggetto passivo) per incriminare la condotta che ha leso il divieto: si valuta asetticamente se gli interessi percepiti dall’usuraio superino o meno il tasso normativamente sancito.
Al fatto della stipulazione dell’illecito appaiono congiuntamente applicabili le norme dei due rami dell’ordinamento. L’usura, invero, è un reato, ma il suo effetto civilistico si ravvisa nella nullità della stipulazione per contrarietà a norme imperative e per nullità della causa ex art. 1418 c.c.
Diconsi reati in contratto, invece, le fattispecie criminose che si realizzano in occasione e in ragione della stipulazione di negozi giuridici bi o plurilaterali, attraverso i quali si raggiunge un consensus in idem placitum meramente apparente, poiché invero intrinsecamente inficiato dalla presenza degli elementi descritti dalla norma penale. In tale categoria viene incriminata non la conclusione in sé del contratto, ma il comportamento (violento, fraudolento e profittatorio) tenuto durante l’esecuzione di esso.
Incidendo nella fase esecutiva e non genetica della formazione della volontà negoziale, la condotta del soggetto agente produce, nella controparte, una situazione di coazione, di errore o di inganno, di pati su una o più circostanze fattuali che conduce alla conclusione del contratto, soltanto in ragione di un consenso estorto, pilotato o carpito. Il riferimento che la norma opera alle condizioni psicologiche della vittima, ma soprattutto all’elemento soggettivo che anima la condotta dell’agente (consapevolezza dello stato di coazione psichica del proprio interlocutore) non può che
indurre, in questi casi, a far ritenere una tale convenzione come illecita, per ragioni esogene alla struttura economica tipica del rapporto negoziale. Se nei reati in contratto non si valuta il momento della loro conclusione ma quello della loro esecuzione, per l’usura, in modo particolare, riluce lo stato di bisogno della vittima e la prova che il soggetto attivo ne abbia approfittato, ricavandone un indebito vantaggio.
Prima della riforma dell’anno 1996 l’usura si identificava come un reato in contratto : fondamentale era la condizione della stato di bisogno del soggetto passivo ed il suo approfittamento da parte del soggetto attivo.
Con la legge 108, invece, l’usura si è incastonata nei reaticontratto, atteso il suo processo di oggettivazione.
Quest’ultimo identificabile con l’elisione dalla condotta incriminata del requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno del debitore e con l’introduzione del principio del superamento del tassosoglia ha determinato, secondo le indicazioni della maggioranza degli interpreti, il passaggio dell’usura dalla categoria dei reati in contratto a quella dei reaticontratto.
La differenza, ai nostri fini, non è speciosa, bensì foriera di fondamentali conseguenze: l’integrale valutazione giuridica del fatto in tutto i suoi aspetti giuridicamente rilevanti[3] comporta non solo l’incriminazione del reato, ma la sanzione della nullità radicale ed insanabile dell’atto e, dunque, la sua degradazione ad un mero quid facti. Le conseguenze sono:
sono nulle tutte le convenzioni;
non sono dovuti interessi;
in ragione della commissione del delitto di usura la vittima può richiedere il risarcimento di tutti i danni ex art. 2043 c.c. ed art. 185 c.p.
Al momento della pattuizione, perciò, non dell’esecuzione o dazione bisogna riferirsi per stabilire quando cade la scure della comminatoria prevista dalla legge.
Ne consegue che ogni valutazione sul costo totale del credito (sul TEG Tasso Effettivo Globale) va resa considerando il momento perfezionativo della conclusione del contratto, non le vicende successive.
Tale assunto è conforme a quanto statuito dal legislatore, il quale, in sede di interpretazione dell’art. 644 c.p., ha ribadito il principio secondo cui ” Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento ” [4].
2. L’interesse moratorio come elemento determinate nel computo del TEG. Sua precipua differenza con l’interesse corrispettivo. Necessità di valutazione al momento della pattuizione e non della dazione. Giustificata sommatoria con l’interesse corrispettivo, al cospetto del tasso soglia.
Si innesta a questo punto il commento alla ordinanza del Tribunale di Rovereto che in parte motiva richiama la sentenza n. 350/13 della Corte di Cassazione, secondo cui anche l’interesse moratorio è da inserire nel computo del costo totale del credito, con la conseguenza che, sommato l’interesse corrispettivo con il tasso di mora, laddove tal sommatoria travalichi il tasso soglia, si ha usura.
” Ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 c.c. e dell’articolo 644 c.p., si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’interessi moratori ” [5].
Di analogo contenuto e di stretta osservanza a quanto statuito dalla Corte di legittimità è un’altra sentenza della Corte di Appello di Venezia: ” Ai sensi dell’art. 1815 c.c., opera la conversione forzosa del mutuo concesso ad un tasso usurario, in mutuo gratuito, al fine di garantire una maggiore tutela del debitore ed una visione unitaria della fattispecie, connotata dall’abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo della “soglia” di cui all’art. 2, comma IV della L. n. 108 del 1996. La sanzione dell’abbattimento del tasso di interesse si applica a qualunque somma dovuta a titolo di interesse, legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori, con la sola esclusione del caso in cui i rapporti contrattuale presupposti dall’applicazione degli interessi siano già esauriti alla data di entrata in vigore della legge n. 108 del 1996 ” [6].
Questa asserzione ha dato la stura ad un’interpretazione autorevole, proveniente proprio dall’ambito bancario: “Dunque gli interessi moratori non si sostituiscono ma vengono ad aggiungersi a quelli corrispettivi. A ciò consegue che laddove l’art.644 c.p 4 comma fosse ritenuto applicabile anche agli interessi moratori, il loro tasso dovrebbe essere sommato a quello degli interessi corrispettivi convenuti tra le parti contraenti, al fine di accertare se sia stato superato il limite imperativamente posto dall’art. 644 3 comma c.p e dell’art. 2 4 comma della legge 108/96 ” [7].
Deve essere rimarcato che la vexata quaestio circa la tematica se gli interessi moratori debbano o meno essere inseriti, come componente remunerativa, nel computo del TEG non nasce ora: il problema è stato ampiamente affrontato dalla Corte di legittimità e da una copiosa giurisprudenza di merito fin dagli inizi dell’anno 2000.
Così sentenziava la Corte Suprema: “L’usurarietà del superamento del “tasso soglia” di cui alla l. 7 marzo 1996 n. 108, vale anche per le clausole concernenti gli interessi moratori ” [8].
Di rilevante spessore sono alcune pronunce della giurisprudenza di merito, che comunque hanno posto l’accento sulla circostanza che gli interessi moratori siano componente essenziale nel calcolo del TEG, anche se riferite a fattispecie fattuali antecedenti all’emanazione della legge 108/96.
” La disciplina sull’usura introdotta dalla l. 108/96 si applica anche agli interessi moratori ” [9].
” La clausola che in un contratto di mutuo preveda per il ritardo nella restituzione del capitale il pagamento di interessi moratori in misura superiore al tasso soglia previsto dalla legge sull’usura deve essere qualificata come clausola penale ed il giudice può d’ufficio provvedere alla riduzione, ai sensi dell’art. 1384 c.c., essendo l’ammontare manifestamente eccessivo ” [10].
” La disciplina repressiva dell’usura si applica agli interessi moratori. Essa vale anche per i rapporti costituitisi anteriormente alla sua entrata in vigore, con riguardo alle prestazioni non ancora eseguite: sostituendosi al tasso pattuito, e divenuto usurario, un tasso diverso riferito ai vari tassi soglia determinati trimestralmente dal Ministero del tesoro ” [11].
Di recente anche il Tribunale di Milano, in riferimento alla figura del leasing, ha ritenuto che gli interessi moratori debbano essere rispettosi del tasso soglia [12].
Allo stesso modo il Tribunale di Rovereto ha reputato che nei conteggi da effettuarsi concernenti il tasso soglia devono essere considerati gli interessi convenzionali e quelli moratori [13].
Si impongono le seguenti considerazioni:
1. la legge n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3° comma, ha valore assoluto in tal senso non delineando il legislatore alcuna differenza tra interesse corrispettivo o moratorio);
2. nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dall’art. 1224, 1° comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge. Nel determinare, perciò, l’usura non vi è differenza alcuna tra interesse corrispettivo ed interesse moratorio: entrambi concorrono alla formazione del TEG.
3. La questione è stata risolta dallo stesso legislatore. Infatti, l’art. 1, comma 1°, del d.l. 29.12.2000, n. 394, di interpretazione autentica dell’art. 644 cod. pen., convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, l. 28/02/2001, n. 24, riconduce alla nozione di interessi usurari quelli convenuti «a qualsiasi titolo», e la relazione governativa che accompagna il decreto fa più esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse, «sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio». In tal senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale, in una sentenza chiamata ad esprimersi nei giudizi di legittimità costituzionale sollevati dalla l. n. 24/2001.
4. Nello specifico, la Consulta ha precisato, seppur in un obiter dictum, che «(v)a in ogni caso osservato ed il rilievo appare in sé decisivo che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decretolegge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile senza necessità di specifica motivazione l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori[14].
5. La stessa Corte di Cassazione, con una chiara sentenza del 2003, ha ritenuto che: ” in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori, ma non si applica ai contratti contenenti tassi usurari stipulati prima della sua entrata in vigore se relativi a rapporti completamente esauriti al momento dell’entrata in vigore della legge ” [15].
Gli interessi moratori sono altro rispetto agli interessi corrispettivi.
È stato scritto: “la distinzione tra interessi corrispettivi e quelli moratori attiene in effetti essenzialmente alla funzione che la relativa obbligazione assolve. Gli interessi corrispettivi rappresentano il corrispettivo per l’utilizzo del danaro da parte di chi dovrebbe effettuare la prestazione pecuniaria. Essi hanno pertanto natura di frutti civili secondo la definizione dell’art.820 comma 3 c.c e cioè di frutti che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Gli interessi corrispettivi in sostanza hanno la funzione di riequilibrare il vantaggio che il debitore ritrae, data la normale produttività della moneta, dal trattenere presso di sé somme di denaro. Essi sono dovuti oggettivamente, a prescindere dalla rilevanza della colpa del debitore in ordine al ritardo nel pagamento della somma dovuta.
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