L’assetto normativo così si delinea: Le sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di cui al comma 2 hanno effetto a seguito del provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo di cui all’articolo 3, comma 1. In presenza di più procedimenti penali che riguardano la medesima parte offesa, anche ai fini delle sospensioni e della proroga anzidette, è competente il procuratore della Repubblica del procedimento iniziato anteriormente.
Il prefetto, ricevuta la richiesta di elargizione di cui agli articoli 3, 5, 6 e 8, compila l’elenco delle procedure esecutive in corso a carico del richiedente e informa senza ritardo il procuratore della Repubblica competente, che trasmette il provvedimento al giudice, o ai giudici, dell’esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione del prefetto.
Dunque quest’ultimo ha solo il compito di predisporre l’elenco della richiesta dell’elargizione effettuata con debita istanza dalla parte offesa e di indicare le procedure esecutive che quest’ultima abbia subito.
E’ compito del Procuratore della Repubblica competente decretare la sospensione dell’attività esecutiva e di trasmettere il relativo provvedimento al Giudice dell’esecuzione civile.
Sul piano pratico chi ha subito il reato di usura, depositata la querela, deve predisporre successivamente un’istanza al Prefetto competente per territorio, il quale indicherà le procedure esecutive della parte offesa.Il relativo elenco senza indugio è trasmesso successivamente al Pubblico Ministero,affinchè questi provveda sulla sospensione.
Con il precedente regime il Prefetto aveva un ruolo decisivo:quello di conferire un parere che ad ogge come visto non è più richiesto.
In realtà esso non aveva un valore vincolante, ma solo consultivo.
All’uopo intervenne la Corte Costituzionale che chiarì i termini della quaestio.
In primo luogo, con pronuncia n. 457 del 2005, la Corte delle Leggi dichiarò l’illegittimità dell’art. 20 comma 7 della disposizione de qua, ritenendo che la parola favorevole, di cui alla richiesta del parere del Prefetto, fosse da espungere dal dettato normativo.
Fu il Tribunale di Lecce a porre la questione di costituzionalità.
Il Giudice rimettente era scritto nell’ordinanza dubita, in riferimento all’art. 101 Cost., secondo comma, e art. 108 Cost., secondo comma, ed “al principio fondamentale della separazione dei poteri dello Stato”, della legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), secondo cui la sospensione dei processi esecutivi per la durata di trecento giorni, prevista al comma 4, in favore dei soggetti che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l’elargizione di cui agli artt. 3, 5, 6 e 8 della stessa legge, “ha effetto a seguito del parere favorevole del Prefetto competente per territorio, sentito il presidente del Tribunale”.
Per la Corte Costituzionale la questione sollevata era fondata sulla base dei seguenti assunti;
1. se si riconosce al Prefetto il potere di rendere preventivamente il parere favorevole, la violazione dei principi costituzionali posti a presidio dell’indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale appare palese, considerato che il Prefetto viene ad essere investito, dalla norma impugnata, del potere di decidere in ordine alle istanze di sospensione dei processi esecutivi promossi nei confronti delle vittime dell’usura; potere che, proprio perché incidente sul processo e, quindi, giurisdizionale, non può che spettare in via esclusiva all’autorità giudiziaria.
2. Se, dunque, contrasta con i parametri costituzionali invocati dal rimettente l’attribuzione al Prefetto del potere di decidere in merito alla particolare ipotesi di sospensione dei processi esecutivi prevista dalla norma impugnata, la norma stessa può, tuttavia, essere ricondotta a legittimità costituzionale mediante l’ablazione della parola “favorevole”.
3. Ciò è sufficiente, infatti, a restituire alla funzione del Prefetto un carattere propriamente consultivo, non vincolante, coerente con la natura giurisdizionale e non amministrativa del provvedimento richiesto, mentre il potere decisorio riguardo alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del processo esecutivo, torna ad essere attribuito al Giudice, che ne è in base ai principi il naturale ed esclusivo titolare.
In ragione di tal pronuncia si poteva inequivocabilmente ritenere che il parere del Prefetto e la sua funzione, ai fini della concessione del provvedimento di sospensione, fossero estremamente ridotti o compressi nel seno dell’interpretazione della norma.
L’ordinanza in commento è originale perché in maniera netta e recisa riconduce alla sola autorità giurisdizionale ogni decisione in materia di sospensione dell’attività esecutiva, scaturita da una pretesa usuraria.
Secondo il Pubblico Ministero di Torino “prima della riforma, l’effettività della sospensione era collegata alla espressione di un “parere favorevole del prefetto competente per territorio, sentito il Presidente del Tribunale”, fermo restando che a disporre la moratoria era comunque il giudice dell’esecuzione con effetti dal momento della presentazione dell’istanza innanzi a sé e non dalla presentazione della richiesta in sede amministrativa (cfr. Cass, 24 gennaio 2007 n. 496).
L’articolato normativo, così come formulato, prevedeva invero un intimo nesso funzionale tra le cognizioni proprie del prefetto destinatario dell’istanza di accesso al fondo di solidarietà e le valutazioni del giudice dell’esecuzione, così che la delibazione giudiziale potesse opportunamente fondarsi su una stima del fumus di accoglimento dell’istanza concernente le provvidenze economiche, in .funzione delle quali, appunto, opera con portata cautelare l’istituto della sospensione.
Sulla capacità di influenza del parere prefettizio sulla regiudicanda normativamente espresso dal termine “favorevole” è intervenuta la Corte Costituzionale chel, valutando l’inammissibilità di una così intensa incursione potestativa del prefetto sul provvedimento decisorio del Giudice dell’Esecuzione, ha espunto per illegittimità costituzionale l’aggettivo anzidetto dalla disposizione del comma 7, restituendo in tal guisa all’A.G dell’esecuzione un più ampio spettro discrezionale sul quale fondare la decisione (cfr. Corte Cost, sent. n. 457/2005).
L’attuale obliterazione, dell’intervento consultivo del prefetto e la sua sostituzione con un atto del procuratore della Repubblica, normativamente qualificato non più come “parere ” bensì come “provvedimento” e a seguito del quale “hanno effetto” le sospensioni di legge, inevitabilmente pone problemi esegetici che, a fronte dell’istanza di cui in premessa, vanno risolti come segue.
In questo senso occorre delimitare l’ampiezza dei poteri oggi riconosciuti al procuratore della Repubblica, chiamato ad adottare un “provvedimento” che ove favorevole produce l’ effetto sospensivo di legge.
Ora, se si scorrono i lavori preparatori alla legge n. 3/2012 si comprende che la traslazione del termine ”parere” in quello di “provvedimento” esitata al passaggio del ddl da un ramo all’altro del Parlamento risente dell’esigenza di ricondurre il risultato decisorio ad una valutazione esclusiva e non più interlocutoria in ordine alla concedibilità della sospensione, attribuendo siffatta valutazione al pubblico ministero dell’indagine.
Ne è testuale riprova la coerente riproduzione del termine “provvedimento” neil’esordiente comma 7bis dell’ari, 20 cit, laddove è oggi previsto che, previa tempestiva informazione ricevuta dal prefetto circa l’elenco delle procedure esecutive in corso a carico del richiedente, il procuratore della Repubblica “trasmette il provvedimento al giudice, o ai giudici, dell’esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione del prefetto”; adempimento, invero, di mera trasmissione, privo (anche terminologicamente) di alcuna appendice delibativa da parte del G.E. e che pertanto svela l’intento del legislatore della riforma di ascrivere alla stima dell’A.G, titolare delle indagini l’effetto sospensivo, da attuarsi inoltre nel più celere intervallo di tempo attraverso quella tempestiva trasmissione …
Il potere normativo all’A,G. di influire sulla sospensione dei termini e, per l’effetto, la sottrazione di esso alla sia più interlocutoria stima del prefetto, comportano una sostanziale risagomatura dell’istituto, non tanto in considerazione delle conseguenze dell’atto, che à e resta collegato all’esito sospensivo previsto dalla legge, quanto piuttosto del diverso ambito conoscitivo e dunque dei distinti interessi da ponderare sul quale fondare la delibazione sulla sospensione”.
Dunque solo il Pubblico Ministero è il titolare del potere di sospensione, riducendosi quello del Prefetto che deve solo trasmettere i dati delle diverse procedure cui è coinvolta la parte offesa.
Al cospetto del potere del Pubblico Ministero il Giudice dell’Esecuzione deve solo prenderne atto non potendo sollevare alcuna impugnazione:si deve dar seguito alla sospensione decretata.
In proposito è intervenuta la Corte Costituzionale(ordinanza del 6.12.2013 n.296) che non ha ravvisato un conflitto tra poteri dello Stato, riconoscendo al solo Pubblico Ministero l’effettivo potere di sospensione. La Consulta ha così ha statuito: È inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Giudice istruttore del Tribunale di Padova, sezione distaccata di Cittadella, nell’ambito di un procedimento civile, in relazione al provvedimento adottato, in data 12 dicembre 2012, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova, in un procedimento penale, con il quale quest’ultimo, ai sensi dell’art. 20, comma 4, l. 23 febbraio 1999, n. 44, accogliendo l’istanza della parte convenuta nel procedimento civile n. 801 del 2012, ha disposto per la durata di trecento giorni a far data dalla presentazione dell’istanza all’ufficio del pubblico ministero (avvenuta in data 11 dicembre 2012) la sospensione dei termini di prescrizione e di quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, relativi al detto procedimento civile. Premesso che il conflitto di attribuzione postula l’appartenenza degli organi o enti in conflitto a poteri diversi, nella specie sono coinvolti organi appartenenti, entrambi, al potere giudiziario, trattandosi di ricorso proposto da un giudice nei confronti del pubblico ministero; inoltre, poiché il provvedimento di sospensione dei termini, emesso ai sensi dell’art. 20, comma 7, l. n. 44 del 1999, non concernendo l’esercizio dell’azione penale, né attività di indagine ad essa finalizzata, non è espressione di attribuzioni costituzionali riconosciute al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 112 Cost., non è configurabile alcuna lesione delle attribuzioni costituzionali del giudice quale conseguenza del provvedimento di sospensione dei termini emesso dal pubblico ministero, dubitando, piuttosto, il ricorrente della legittimità costituzionale di una disposizione di legge che attribuisce un potere specifico al pubblico ministero, sicché difetta “?la materia?” stessa del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (sentt. nn. 463 del 1993, 420 del 1995, 110, 410 del 1998, 284 del 2006; ordd. nn. 87 del 1978, 244, 340 del 1999, 338 del 2007, 38 del 2008, 17 del 2013).