Vi è invece un altro indirizzo giurisprudenziale che conferisce diritto di cittadinanza all’interesse moratorio: il suo valore e la sua incisività possono soppesarsi e ponderarsi al momento della pattuizione, in ordine al disposto normativo di cui all’art. 644 c.p.
Chi sposa le coordinate di questa tesi ha ben chiaro il tenore della legge che ha conferito l’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p.
Infatti il decreto legge 29.12.2000 n. 394 convertito in Legge 28.02.2001 n. 24 di interpretazione autentica della legge 108/1996 recita: “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
Al momento della pattuizione, perciò, non dell’esecuzione o dazione bisogna riferirsi per stabilire quando cada la scure della comminatoria prevista dal tessuto normativo.
Ne consegue che ogni valutazione sul costo totale del credito (sul TEG Tasso Effettivo Globale) va resa, considerando il momento perfezionativo della conclusione del contratto, non le vicende successive.
Un’autorevole dottrina sostiene che la norma dell’art. 644 c.p tuteli l’interesse all’autonoma determinazione del contenuto del contratto (Luciano Violante); da tal proposizione nasce l’assunto di portata considerevole secondo cui il momento consumativo del reato di usura si ha con la pattuizione e dunque la fattispecie delittuosa può essere definita come reato istantaneo, che si perfeziona al momento della conclusione del patto usurario: le plurime dazioni esecutive della stessa pattuizione usuraria sono inquadrate nel postfatto, che assurge ad elemento significativo ai fini prescrizionali (644 ter c.p) e costituisce l’attuazione del disegno criminoso.
“In tema di usura, qualora alla promessa segua mediante la rateizzazione degli interessi convenuti la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un “post factum” non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato, con effetti anche ai fini della prescrizione, essendosi in presenza di un reato a consumazione prolungata o a condotta frazionata; ciò che, del resto, è confermato dalla speciale regola proprio in tema di decorrenza della prescrizione dettata dall’art. 644 ter c.p., il quale stabilisce che “la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale”(Cass. pen. 18.05.2010 n. 27171).
Non può la pattuizione essere retrocessa a mero presupposto, ma invece costituisce l’essenza, la sostanza del reato: il disvalore nella confezione del vincolo sinallagmatico; è la pattuizione originaria a rendere il fatto unitario, a prescindere dalla sua esecuzione.
Sono svariati gli indici normativi che declinano il reato di usura come istantaneo:
la norma francese, sulla quale è stato modellato l’art. 644 c.p che collega espressamente il superamento del limite di legge au moment où il est consentì;
la descrizione della condotta tipica nel comma 1 dell’art. 644 c.p che, con l’inciso “in corrispettivo”, presuppone necessariamente la sinallagmaticità delle prestazioni;
la determinazione del tasso di riferimento che è collegata nel comma 4° dell’art. 644 c.p alla preventiva erogazione del credito;
il riferimento alle operazioni similari contenuto nella definizione di usura in concreto, che sicuramente importa una valutazione, nel momento storico in cui è stata effettuata la prestazione.
Tra l’altro prima il legislatore e successivamente la Corte delle Leggi hanno dato lo stigma indefettibile che la pattuizione sia il momento prevalente rispetto a quello della dazione.
La Consulta, richiamando un paio di suoi precedenti (le sentenze n. 525 del 2000 e n. 229 del 1999), ha annotato che “non può ritenersi precluso al legislatore adottare norme che precisino il significato di precedenti disposizioni legislative, pur a prescindere dall’esistenza di una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o di contrasti giurisprudenziali, a condizione che l’interpretazione non collida con il generale principio di ragionevolezza”. Quella data dalla Consulta, alla luce dei principi generali è chiara, lineare e coerente con il sistema ordinamentale.
La Corte Costituzionale si è spinta oltre nella sua “petizione di principio” a favore della legge censurata, rivendicandone anche la piena compatibilità con il tenore e la ratio della legge 108 del 1996, la quale, come “risulta con chiarezza dai lavori preparatori”, “è quella di contrastare nella maniera più incisiva il fenomeno usurario”.
Tale obiettivo il Giudice delle Leggi lo ha ritenuto raggiunto:
1. con l’inasprimento sanzionatorio;
2. con la semplificazione dell’accertamento del reato, ottenuta mediante l’individuazione di un tasso obiettivamente usurario;
3. con la “derubricazione” dell’approfittamento dello stato di bisogno da elemento costitutivo a circostanza aggravante.
La giurisprudenza così si è espressa: in tema di usura, qualora successive consegne di assegni, danaro o altri beni mobili siano state effettuate dal soggetto passivo in esecuzione di un’unica originaria pattuizione usuraria, non è ravvisabile in capo all’agente una pluralità di condotte criminose unificate dal vincolo della continuazione,bensì un’unica condotta che si è esaurita nell’atto stesso in cui si è perfezionato il patto;quello di usura, infatti, costituisce di regola un reato istantaneo ancorchè il soggetto passivo si impegni a corrispondere nel tempo gli interessi usurari, pur se, in tal caso, i suoi effetti sono permanenti, rimanendo in vita il patto e le sue conseguenze senza alcuna ulteriore attività dell’agente (Cass. pen. Sez. II, 07.03.1997, n. 6784).
Se dunque si fa risalire al momento della pattuizione la consumazione del reato di usura (si veda in proposito nota del sottoscritto apparsa su De iure in data 17.03.2014), ne consegue che in questo dato contesto deve essere valutato l’interesse moratorio.
In proposito, in risposta alle diverse ordinanze apparse nel sito ex parte creditoris si segnalano tre fondamentali pronunce: una del Tribunale di Padova, l’altra dell’ufficio del Giudice dell’indagini preliminari del Tribunale di Torino e da ultimo del Giudice delegato di una procedura fallimentare apertasi al Tribunale di Parma, che qui si commenta.
Il Tribunale di Padova ha ritenuto che l’interesse moratorio va delibato al momento della pattuizione; senza esitazione alcuna l’estensore dell’ordinanza ha così statuito: “va rilevato che la formula della legge, se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi, non consente di effettuare alcuna distinzione tra interessi corrispettivi ed interessi moratori, né tra le corrispondenti pattuizioni e dall’altro che il tasso moratorio pattuito, in quanto composto dallo stesso tasso degli interessi corrispettivi, al quale va aggiunto una determinata maggiorazione ove usurario, non può che travolgere necessariamente nella sanzione di nullità, tutti i suoi componenti e quindi anche il tasso corrispettivo di riferimento. I reclamanti pertanto sono tenuti a restituire solo la somma del capitale mutuato (Tribunale di Padova 13.05.2014). Dello stesso tenore è quanto recentemente pronunciato dal Gip di Torino: “le conclusioni formulate dal P.M. non possono essere condivise, in quanto è la stessa legge (il D.L. n.394/2000) di interpretazione autentica della L.108/1996 sull’usura, ad aver precisato che, al fine di verificare l’eventuale superamento delle soglie limite di interesse oltre il quale si sfocia nell’usura, vanno computati gli interessi a qualunque titolo convenuti e quindi anche quelli moratori. Successivamente a questa norma la giurisprudenza (per ultima Cass. civ., sez. I, 9 gennaio 2013, n.350, in precedenza Cass. civ. n.5324/2003) non ha avuto dubbi nel computare anche gli interessi moratori, al fine di accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo dell’usura” (Ordinanza del Giudice Giuseppe Marra da Archivio Penale Torino 10.06.2014).
Per il Giudice delegato al fallimento (Parma) bisogna correttamente profilare la distinzione tra il valore dell’interesse corrispettivo e quello moratorio. Nell’ambito del contratto di riferimento la Banca si comporterà correttamente se sostituisce all’interesse corrispettivo il moratorio non se lo aggiunge, come avviene nella maggior parte dei casi.
Scrive il Giudice: “Occorre verificare il singolo contratto e stabilire se esso preveda interessi di mora in caso di inadempimento e se gli stessi siano sostitutivi dell’interesse corrispettivo. Infatti se la previsione contrattuale statuisce che la Banca debba applicare al cliente inadempiente solo e soltanto gli interessi di mora sul capitale, sostituendo questi agli interessi corrispettivi, non si farà la sommatoria tra tassi corrispettivi e tassi moratori, ai fini del calcolo del Teg e si verificherà lo sforamento del tasso soglia solo con riferimento al tasso moratorio…. Se invece il contratto prevede che il tasso moratorio si applichi in aggiunta a quello corrispettivo, allora i due indici andranno valutati congiuntamente ed il risultato andrà confrontato con i limiti normativamente imposti (legge 108/96 e successive modifiche)… Prevedendo il contratto che gli interessi di mora non si sostituiscono a quelli corrispettivi, ma si sommino a questi(quindi su ogni rata già formata da quota capitale e quota interessi corrispettivi) si può concludere che, applicando la normativa al contratto de quo anche gli interessi di mora siano da computare ai fini del TEGM e pertanto quest’ultimo sfora il tasso soglia(vigente al momento della stipula) ed il contratto di mutuo sia usurato ab origine quindi trova applicazione la sanzione civilistica dell’art.1815 c.c ultimo comma (Tribunale di Parma sezione fallimentare procedura numero 26/2013 fallimento Archimede srl Giudice delegato dott. Pietro Rogato; curatore rag. Raffaele Quarantelli).
In realtà quest’ultima pronuncia è significativa, icastica ed inconcussa nella sua pregevole chiarezza: strappa il velo dell’ipocrisia giuridica; gli interpreti devono valutare, semanticamente, come si pone la clausola contrattuale in tema di tasso moratorio, per ponderare se esso sia influente o meno ai fini del calcolo del Teg.
Se infatti nel contratto è scritto che la mora si sostituisce, non si aggiunge al tasso corrispettivo e non si computa sull’intera rata, il relativo tasso deve da solo, autonomamente compararsi con il TEG.
Se invece come è avvenuto nella procedura di ammissione al passivo all’attenzione del Giudice delegato del fallimento apertosi a Parma, è statuito nel contratto, (come del resto avviene in tutte le stipulazioni almeno sino all’anno 2012) che la mora si aggiunge al tasso corrispettivo e si calcola sull’intera rata, la sommatoria è ammessa e di poi va confrontata con il TEG: è squarciato il velo dell’ipocrisia ed i criteri ermeneutici sono improntati al principio del favor debitoris.
Cardito, 4.8.2014